domenica 19 ottobre 2008

Attimi di felicità. Un'euforia inenarrabile, una follia inarrestabile

Sam tenta un nuovo record di profondità mentale, discesa a fondo in apnea in assetto variabile, trattenendo il respiro fino ad inevitabile scoppio di risa finale, giusto quanto dissacratore della serietà dei temi trattati, della gravità dei tempi attraversati.

Sam medita di compiere un atto deciso, un gesto di rivolta.

Pensa d'occupare sé stesso in risposta al suo atteggiamento passatista ed incapace di trasformare in rabbia produttiva tutto quel magmatico progettare cui destina le sue giornate.

Pensa ad un movimento di sensibilizzazione capace di rimettere in discussione quei provvedimenti presi senza attenzione che vanno ora subdolamente ridistribuendo le risorse in suo possesso, privilegiando l'alcol alla visione in sala, il discorso al tavolo piuttosto che quello con il libro.

Sam propone un'occupazione di sé stesso, poiché vede crescere in lui la tendenza all'amorale disimpegno che lo porta a far sì che siano gli altri a prendere decisioni e che sia lui a pagarne le conseguenze.

Pensa ad una sospensione delle attività usuali per permettersi di guardare intorno come la realtà si allontani da una facile ordinaria lettura, per provare a prender maggior coscienza del posto che occupa, di quello che non occupa.

Per mettersi davanti a quello che non lo preoccupa e decidere se trastullarsi ancora oppure non farlo più.

Naviga nel traffico e s' imbatte in camion a vela che veicolano muti messaggi d'ebbro folklore, sintomatico esempio dello stato turbolento delle nostre acque:

Santo Padre, la imploriamo, salvi noi tutti! Pubblichi l'intero terzo segreto di Fatima!

E poi, su lunghezza d'onda di altra portata:

1968. I sogni dei padri ricadono sui figli

Sam comprende che la sua barca a remi rischia di non reggere alle intemperie che stanno per giungere. Leggere, informarsi, partecipare indirettamente forse non è abbastanza per manifestare il suo dissenso e la sua presenza in mare aperto.

Non ora, non più.

sabato 18 ottobre 2008

Lascia tracce solo chi è irrintracciabile


Sam lascia tracce, un po' ovunque. Non vorrebbe sparire troppo presto. Non vorrebbe finire a esser contattato solo da se stesso. Sam propone e si propone. Alla tensione o all'attenzione. Al desiderio ed all'improperio.

Sam commenta ma non esprime opinioni, va a vedere ma non fa uscire fuori giudizi affrettati. Medita, rimastica e poi rimescola l'appena trascorso con quel che nella sua enciclopedia è in archivio già da tempo.

Pecca d'irrequietezza anche se appare quieto seduto in panchina, in pace con il mondo e con la sua interiorità. Freme d'attivismo inutile, di quel gioco al ricamo astratto che di tanto in tanto gli pare essere la lingua scritta.

Agisce sottotraccia, tacitamente lascia partire i suoi segnali. Attende risposte ma si sforza di pensare le sue azioni come un'offerta che non richieda una contropartita.

Prova ad allargare la sua visione delle cose e tenta di farsi osservatore ironicamente oggettivo del traffico che gli riempe le orecchie, quella sincopata disarmonia di motori e rumori, di strilli ed urla, di passi e tacchi, di umani e di non umani con la quale è solito ferire il suo corpo durante il soggiorno in città.

Come bicicli mutilati di ruote e sella, eppure ancora ben ancorati con catena al palo, noi persistiamo nel rito del chiuderci a chiave, sbandieriamo i nostri vessilli di privacy, delicatezza, imbarazzo e abbiamo cura di conservare la nostra sicurezza, la nostra integrità, salvo accorgersi fuori tempo massimo che gran parte di noi è già andato perduto, che i ladri son passati senza che ce ne si potesse render conto.

Passa con curiosità davanti lo specchio del suo nuovo riparo urbano. Fa in modo d'imbattersi in qualcuno che gli assomigli, là, oltre il vetro. Lo fa con piacere e passione, affinché con il suo presunto simile possa domandarsi vicendevolmente il perché di quel diffuso e continuo cercar soluzioni all'impossibile.
Un rodersi con insistenza che rende l'oggi nevrotico e non più pregno di quella grazia forse solo utopisticamente immaginata cui erano portatori i nostri predecessori, coloro che del lasciarsi semplicemente trasportare dalla corrente delle cose non facevano un problema d'insufficiente presenza in vita.

venerdì 17 ottobre 2008

Anatomia della sprovvedutezza


Nei pressi di chi s'appresta ad iniziar il discorso si registra sovente una perturbante perdita del soggetto, o meglio una moltiplicazione e successiva dispersione dello stesso, in favore d'uno smarrimento che non è quello della pecora, ma piuttosto quello dell'errante, felice di non sapere dove andare, come farlo, con quale parte di sé procedere.

Le modificazioni cui va incontro, suo malgrado, la direzione del proprio irrisolto ed irresoluto discorso interiore, il livello variabile della coscienza, quello dell'entusiasmo, quello della pazienza, ed ancora i gradi diversi di accessibilità delle mete cui con una certa approssimazione egli vorrebbe approdare, ne modellano persistentemente i confini, rendendo vago il suo agire, meditabondo e poco chiaro il suo procedere.

Il disordine come motore dell'azione e dell'inattività fa sì ch'egli veda impiegar i suoi giorni a cercar quello che avrebbe dovuto non perdere, non tralasciare, non dimenticare molto tempo prima.

Attitudine squalificante poiché altamente improduttiva secondo i canoni correnti d'efficienza monetizzabile, il lasciar le cose fuori posto gli apre tuttavia la strada per un approccio inedito e ricco di sorprese verso quel che attornia la sua vita di ordinatore di disorganizzazione tra oggetti, di cacciatore d'immagini e di corrispondenze, di viaggiatore dotato di mente ma ben avviato a farsi all'occorrenza macchina in cortocircuito tra le macchine in marcia, congegno senza regole all'interno del sistema.

Egli agisce tentando di ribaltare l'ordine delle cose, facendo in modo che ciò che appare segno di squilibrio e di reticenza all'impegno regolare, diventi in tal modo strumento di rivendicazione per un differente percorso esistenziale.

Non sente l'esigenza di facili ombrelli, a protezione della sua labile integrità. Preferisce piuttosto che la vita gli piova addosso, lo immerga di stimoli, lo coinvolga nell'impeto del suo costante turbinio cangiante. Non sta fermo in tettoia ad attender che la tempesta sia passata, bensì s'impegna affinché la sua solidarietà con gli agenti atmosferici non risulti vana.

mercoledì 15 ottobre 2008

Degustazioni

Sam s'appresta a nuovo sonno, medita su come a volte gli stia stretto o quasi straniero il chiacchiericcio da pub, il gioco ironico e spavaldo a dirsi e farsi vincenti perdenti.
Vince chi fa la peggiore figura, perde chi non entra in gioco, resta troppo prudente, non s'arrischia in approcci sconsigliati dal buon senso.

Condividiamo i nostri sbadigli, spalanchiamo le nostre bocche con misurata sincronia, studiata gestualità, posata ritualità. Facciamolo faccia a faccia, affinché le nostre noie e le nostre fatiche possano agevolmente trasmigrare da un corpo all'altro.

Facciamo dei nostri scarabocchi su carta immacolata la traduzione grafica del percorso caotico dei giorni sregolati cui siamo protagonisti parzialmente consapevoli, nettamente incantati, a tratti illuminati, a tratti illusi. Sempre condizionati. Dal volere o dal dovere, dal desiderio o dalla legge, dalla bellezza o dalla paura, dalla fame o dal sonno.

Teniamo ben pressate le nostre guance, a contatto con il palmo di mani, deformate dal peso delle nostre preoccupazioni, riscaldate dall'alcol ingerito.
Lasciamo che i nostri gomiti continuino a disporsi sulla superficie lignea del tavolo assegnatoci, che i nostri piedi si muovano nervosamente sotto di esso.
Narriamoci le nostre avventure, infarciamo il discorso di volenterosi <Ho fatto>, <Avrei voluto>, <Mi piacerebbe>.

Partecipiamo alla degustazione di toast profetici, da consumare in gruppo, a piccoli morsi, solo al momento in cui quel che era ben caldo torna gelido, la pietanza invitante fa avvertire un sentore di raffermo ed il nostro stomaco si dice onorato dell'arduo compito cui sarà destinato.

Scossi di come l'estate sembra stia per arrivare a metà ottobre, di come ci si dimentichi dell'assenza di vita in un autobus sovraffollato, in una città intrappolata dal traffico, in una giornata incastrata d'impegni, ed infine ci si consoli di quanto sia ristoratore lo stendersi nudi su un pavimento freddo, non ci attardiamo in progetti, lasciamo che libera proceda l'avventura.

Mi fa il conto degli intoppi di giornata, per piacere?
Ma solo in contanti, poiché quel che si perde deve esser ben evidente alla coscienza.
Confessiamo a noi stessi il diritto di parlar al muro, di immaginare una stanza vuota ed un'azione che non abbia niente da dire.

giovedì 9 ottobre 2008

Come ha detto?


Quando si deraglia fuori dai binari della quieta attesa


Mi può timbrare il biglietto?

No, no...lo deve fare con i suoi denti!


Mi scusi, mi può far sedere?

No, no...dicevo su di lei!...Mi fa sedere sule sue gambe???


Mi fa vedere?

No, no...non dicevo il libro...mi fa vedere i suoi occhi?


Scusi, mi fa parlare?

No, no..vorrei parlare al suo telefonino


Mi fa appoggiare?

No, no...dicevo sulla sua testa!


Mi fa compagnia?

No, no...dicevo al suo cane


lunedì 6 ottobre 2008

Fuori fuoco


È sfocata la lente dei miei pensieri, è fuori fuoco la percezione del vero.

Eppure si prova a far uso dei propri sensi, di quel che gli occhi portano alla luce (o di quel che la luce porta agli occhi).

È indistinta l'immagine che ho davanti. Non si tratta di lenti, non si tratta di gradi.
Quel che c'è non può vedersi che di tal fatta, inafferrabile, sgusciante, imprendibile e misterioso.
Catturare la luce , un gesto che alcun umano può compiere.
Annaspiamo, procediamo a tentoni, mentre le palpebre s'aprono, tentano di render possibile la verifica.

Dove siamo, finiti o infiniti?

Essere a bassa risoluzione
è
non vedersi bene
è
non risolversi
nel campo del visibile
è
mancare di nettezza e completezza.

La non appartenenza ad una linea o ad un obiettivo illuminato ti spinge nella corrente, ti immerge in una lieta fatica psico-fisica, nella frastornata perdita d'equilibrio nelle azioni quotidiane.

In questo mondo non ci vedo chiaro.

Cerco il centro ed il centro non c'è.

Vorresti lanciarti verso la certezza, ma l'obiettività è fuggita via.

venerdì 3 ottobre 2008

Ci si affaccia


Ci si affaccia davanti al proprio destino. Lo si guarda dritto. Invisibile, impalpabile, inafferrabile.

Gomiti sul davanzale, comodamente osservi, posizionato in quello spazio metafisico che ti mette in contatto con quello che sta dentro ed insieme fuori.

Ci si gode da un'ottica privilegiata la vita che avanza.

Ci si sporge in avanti, con cautela. Si prende in considerazione la tenera romantica idea di buttarsi giù, di finire in volo il proprio discorso.

Vediamo se la mia ora sta passando di qua, vediamo se mi riesce di riconoscerla!

Potrebbe essere in arrivo, ma non penso t'avvertirà quando sarà giunto il momento!

Non passano più a trovarci i momenti felici

No, è solo il tempo a passare adesso

Cartografia mentale d'un ritorno


Cartografia mentale d'un ordinario percorso di ritorno

Tappe successive d'una corsa verso l'illusione del riposo


17.00 – partenza dal Circolo Casetta Bianca. Borsa e coscienza sulle spalle


300 passi a piedi in ripida salita


Salto mortale nel traffico di Via Cassia: attraversamento lontano da strisce e semafori

In banchina, in panchina: signora insospettabile, venerabile per quantità di rughe sulla pelle, compie gesto inconsulto e getta cicca di sigaretta tra i binari


17.14 – FM3 La Giustiniana . Treno in direzione Roma Ostiense.

Sole al tramonto dritto negli occhi. Come è forte, quanto è salda, la mano enorme della statua nera. Tiene in braccio con mitezza la figlia. Non accenna ad altra azione che non sia

quella di guardarsi i piedi con composta insistenza

Due dita a coprir le labbra, il pollice ad accarezzare il mento. La giovane disordinata con la quale condivido il viaggio stuzzica i denti, stuzzica i passanti


17.36 – stazione metro A Valle Aurelia.

5 lunghe rampe di scale per finire ampiamente sottoterra.


Un treno semivuoto in direzione Sud. Occhi bassi su nuove pagine da leggere. Il free-press Ventiquattrominuti fa da catalizzatore e monopolizza quasi tutti gli occhi provvisti

d'altra carta stampata. Radi i libri tra le mani, rari i quotidiani del mattino.

Volti esausti fanno esercizio di resistenza


Con lenti nerissime ed umore ancora più cupo, la passeggera che mi sta accanto sfoglia selvaggiamente e con il meritato irrispetto un DiTutto infarcito di provinciali gossip


  1. – Stazione Anagnina, capolinea metro A

    Un bicchiere di latte freddo al bar più lontano.

    Constatazione amara del degrado della fauna degli avventori

    Avanzano nuove generazioni ignare d'ogni cultura libresca


  1. 39 – 551 bus direzione Vigne di Morena


Fai vincere Roma, Rutelli sindaco, è manifesto sbiadito, è proposta stracciata che ancora campeggia logora sui muri d'un cavalcavia


Mescolarsi del rosso del cielo al fondo di giornata con l'eguale tinta presenta sul semaforo


18.55 – via Castelsilano. Fine del tragitto.