martedì 25 novembre 2008

Passare in mezzo


Istruzioni a corto di serietà ad uso di facoltose menti spaventate dal vuoto.

Una volta che il pensiero si è arenato su scogli che, con il tasso alcolico di cui puoi fregiarti diventano di certo insormontabili, pesca dalla tua tasca tre monete d'egual diametro (o se vuoi saggiare la sensibilità del tuo colpo anche di peso e misure diverse), piazzale alla rinfusa sul tavolaccio umido da pub, ormai pieno d'asperità e di attrito, vittima degli avventori d'un sabato sera, ed inizia in buona compagnia a pianificare con metodo l'occupazione che ti trasporterà sino alle soglie dell'indomani.

A turno si tenterà d'infilare una delle tre monete tra le altre due, con un solo colpo, senza che ai giocatori sia consentito avventarsi sulla stessa moneta colpita per due volte di seguito.

A tal scopo ci si interroga sul da farsi. S'affinano le armi in campo.

Fare in modo che il proprio indice, piegandosi su sé stesso e aiutandosi con parte del pollice, si faccia strumento di precisione, molla umana capace di colpire con decisione una moneta di pochi millimetri di spessore, è impresa ardita nel caos generale d'una riunione alcolica legalizzata ma non certo ordinata. Ma cerca di scavare a fondo nel tuo serbatoio di pazienza, fino a recuperare un minimo di concentrazione tra urla, schiamazzi, bicchieri in corso di svuotamento, porte che s'aprono inavvertitamente sul gelo esterno e, non per ultima, una ansia da prestazione stemperata dall'amatorialità del caso ma non totalmente acquietata.

Riuscire ad entrare nel varco tra le altre monete diventa compito cui dedicarsi senza distrazioni. É ormai chiaro lo scopo dell'esperienza: riuscire a stare al centro. Fare centro. Essere al centro. Centrarsi. Riuscire a passare in mezzo. Senza tamponare i margini. Senza stentare nel tentativo. Senza scivolare a lato per aver sbagliato mira.

Convoglia tutte le tue abilità attorno a quel minimo gesto sul quale si incentra la tua riflessione.

Manomettere il proprio ruolo di semplice bevitore, manipolando l'esistenza di tre monete è esercizio d'abilità degno dei più raffinati giochi che le comunità negate alla sobrietà sono solite inventarsi in tempi di carestia mentale.

Si può scendere a patti con la strategia cinica che presiede il gioco. Si calcolano le vie possibili, quelle immaginarie, quelle proibite. Farsi furbo è azione consigliata ai più. Con astuzia porre ostacoli a chi ti segue. Viceversa sperare ingenuamente nella bontà di chi ti precede.

In caso d'errore c'è una sanzione da subire. Ma l'ammenda da pagare non è altro che il continuare a tracannare.

Come avvertimento per i meno lesti, si fa notare che la sottigliezza del passatempo s'avvertirà in tutta la sua eloquenza al momento di ritornar fuori dal gioco, per entrarne in uno più grande.

Trasferendo su scala umana il medesimo esempio di trastullamento festivo, ogni passo diventa teso ad disegnare tragitti o incrociare traiettorie senza toccarsi. Farsi birilli, a turno immobili, semoventi o assai dinamici del traffico generale di vite oggetti macchine e virtualità di diversa natura.

Capire dove potersi infilare. Spedirsi con decisione verso qualcun altro. O viceversa esitare nel farlo perché la tua molla è ammaccata o malfunzionante, perché manca di forza, di coraggio, di strategia.

domenica 16 novembre 2008

Strategia della manutenzione


La strategia della manutenzione impone una sosta vietata alla speranza nei pressi dello status quo, dove ci si mantiene a galla per non rischiare d'affondare, dove si fa esercizio di prudenza mentre sarebbe il caso di sporgersi un po' più in là e provare a cadere in tentazione, a cedere alla volontà d'osare.

Amministrare l'esistente è invece l'imperativo di quella grigia landa. Si prega farlo con metodica dedizione poiché nell'illusorio progettare non è più consentito riporre ulteriore fiducia, poiché con il rivoluzionario sognare non s'arriva a fine mese.

Proseguire senza pensiero è il consiglio che viene distribuito subdolamente ai passanti, lasciando che dentro di loro covi lento il rammarico del potenzialmente fattibile lasciato marcire, facendo sì che il giorno passi senza il sospetto d'aver commesso quell'omicidio invero tanto evidente, quell'aver colpito a morte altre ore irripetibili, inesorabilmente e senza averne avvertito la colpa.

Si scende in strada e ci si affanna a consumare con etica ammaccata, scegliendo con cura dalla lista degli eventi quelli più consoni al tuo percorso esistenziale.

Si consuma e ci si consuma, ma forse non lo si fa abbastanza, visto che è del presente che dovremmo nutrirci, è al momento che vorremmo appartenere, e non all'ideale d'una vita impacchettata passata o futura. Ora che siamo imprevedibili poiché mai ancora così stati dovremmo saltare di gioia e sfondare le porte del pre-scritto con l'energia inarrestabile che porta con sé un gesto compiuto di sorpresa.

Eppure poi ci si accascia, ci si spegne, ci si addormenta, si rimettono in tasca le briciole di positivismo che il secolo scorso ci ha lasciato. E s'imposta la sveglia, e se ne si rispettano gli ordini. Si lascia da parte la leggerezza dei tempi lenti e, di corsa, si ripete con sapienza attoriale l'ordinaria gestione degli spazi e dei tempi.

La mimica del perdente


Sam si dice sollevato che le giovanili inquietudini che gli si pongono davanti non lo riguardino ormai se non dall'esterno. L'evolversi nevrotico d'un match pone in evidenza con sfacciata crudezza la mimica del perdente, triste gesticolare d'una mente non più presente sul luogo d'azione.

Ma poi si ricorda di quando non era ancora in grado di relativizzare le sue azioni ed il tennis era più al centro del centro del suo mondo. Così seppur adesso il suo ruolo è di mero osservatore, mantenitore dell'ordine, controllore del rispetto delle regole, vigilante il lineare evolversi d'un torneo domenicale destinato a nuovi aspiranti agonisti, quel che vede si mischia con quel che ha vissuto mille volte da protagonista.

Come si declini il disappunto di fronte alla sconfitta è fatto soggettivo, ma suscettibile d'una generalizzazione e catalogazione che possa lasciare ampio spazio di consultazione a chi non sia ancora ferrato dell'argomento.

Cominciare con il parlarsi addosso, con un fare quieto eppur schizofrenico .

Scuotere il capo e farlo con forza, poiché da lì partono i tuoi mali. Perché è lassù che si dovrebbero prender decisioni ed invece ci si barcamena, ci si riempe d'incertezza e distrazione. Si indugia fino a quando il colpo non potrà portare che a sbagliare. La palla è passata, il punto perso.

Non trovar consolazione.

Allargar le braccia, alzare le spalle, scalciare nervosamente.

Imprecare accanendosi contro il santo preferito, contro il tuo stesso strumento di gioco, contro la tua stessa pelle.

La scusa è dietro l'angolo. Si tratta di te, ma è d'altro che devi occuparti se vuoi giustificarti. Colpa del campo, delle palle, del sole, del vento, degli spettatori, dei genitori, degli allenatori.

C'è qualcosa che non funziona: le gambe, il braccio o, con più probabilità, la testa.

Chi cerca d'imitar pedissequamente l'idolo amato, ricalcandone gesti e movenze, non ha che un risultato da raggiungere: scalfire la propria già traballante solidità a forza di volersi fare doppio del perfetto giocatore ammirato da lontano, struggersi nel non saper arrivare al livello voluto, a quello sperato.

Volgere lo sguardo al cielo

Non trovare soluzioni

Sotterrare le proprie ambizioni sotto un mare di errori.

Dirsi incredulo

della propria nullità

della propria incapacità

della propria fragilità.

Ci si fa capro espiatorio. Il destino gioca sempre con te? Non è possibile che capiti proprio a me!!

Quando ci si accorge di dover cambiare atteggiamento, di dover prendere provvedimenti nei confronti di sé stessi, il tempo è finito e la partita abbandonata nelle mani avversarie.


martedì 11 novembre 2008

Cosmo-teogonia d'un luogo. Il Bandana

Ci sono luoghi in cui quasi spontaneamente quel che si presume reale si presta alla nostra lente deformante e si trasferisce sul piano simbolico.

E' qui che, per diretta conseguenza, l'illusione d'aver trovato un senso (o già di essere sulla buona strada nella ricerca), la quadratura del cerchio che le tue mani nude, in continuo cammino, tracciano sui bordi di quel bicchiere che si frappone tra il tuo sguardo ed il vuoto, raggiunge insperate vette di concreta utopia.

Al Bandana Dio si chiama Antonello. Dicono di lui che abbia molto viaggiato come agente di commercio nel settore alta moda prima di stabilirsi per un'alcoolica vecchiaia in via Alessandria. Fornito d'una voce mansueta, degna della paradossale ed irrispettosa corrosività di quella del Lucci iena televisiva, agisce con una grazia oppiacea, con la serenità dei saggi dalla barba bianca e dal volto candido.

Elargisce consigli interessati su cosa metter tra i denti, dispone di chi è cliente conosciuto con l'agio del direttore dei lavori.

Se le sue mani si muovono con fare religioso, se il suo linguaggio rivela una sanguigna romanità, il suo pensiero è perennemente tra i cuscini del suo sonno, e sotto d'essi, dove è certo ch'egli custodisca il suo patrimonio. Guarda in alto, mani dietro la schiena, spalle poggiate al muro, pensando a quando potrà carezzar di nuovo il suo bottino.

Despota illuminato circondato da una corte fatta di cane al guinzaglio, moglie al lavoro, figlia in scooter nei paraggi, clientela fedele e ligia alle sue direttive, ed un numero di giovani cameriere il cui numero cresce in rapporto inversamente proporzionale alla permanenza delle stesse tra i tavoli del locale. La durata del loro contratto di lavoro è un altro dei misteri che ogni fedele sarebbe lieto di conoscere.

Tuttavia, sia lodato Antonello se è consentita sotto previa richiesta la degustazione di toast profetici, da consumare in gruppo, a piccoli morsi, solo al momento in cui la sottiletta al suo interno ritorna fredda e la pietanza fa così avvertire un piacevole sentore di raffermo.

Contraltare al Nostro, un'altra figura ha eletto il Bandana come terra per riempire al meglio quel che resta della giornata una volta che la luce solare si è data alla fuga. Un buco nero d'origine sconosciuta, di colore ovviamente uniforme, scuro in volto, così come forse in cuore, s' oppone alla solarità finora descritta.

Il suo profilo professionale ci è ignoto, ma Rocco, con mezza pinta in mano e sembianze che ricordano Salman Rushdie, barba ed occhiali a protegger da una viva emotività il suo volto, fa sempre la sua teatrale apparizione tra i tavoli del pub, a testa bassa e con attitudine sempre identica.

Nero nell'abito, buio nel portamento, s'aggira per il locale, dentro, fuori, nei dintorni, per lunghe ore. Il suo riservato contegno è quello di chi è consapevole che una certa tristezza gli è diventata amica ed ora si suppone in inesorabile espansione?

Seppur di natura ed estetica sì differente, come se il Bene ed il Male ogni tanto s'incontrassero e si dilungassero a colloquiare, le nostre due facce prendono spesso contatto, s'avvicinano, fanno il punto della situazione sulla soglia d'ingresso.

Poi c'è Ariel, non un ologramma della sirenetta di disneyana memoria, ma un sano ingenuo elemento riequilibratore di quei profitti che altrimenti sarebbero troppo sbilanciati a favore delle finalità affaristiche del Signore del luogo. Lo si vede trafficare tra le luci al neon della cucina, ma nel pomeriggio si sposta dietro il bancone, ed è nei pressi della cassa che dà il meglio di sé.

Come a vigilare sul bere giornaliero, un uomo dinoccolato e perso passa ripetutamente nei pressi degli ingressi del locale, lanciando i suoi occhi fin oltre le sue orbite, ansioso di vedere o agitato dal suo aver troppo visto. Barba incolta, sguardo furioso ed allucinato di chi sa di continuo inveire contro i noti santi e la madonna per la sciagurata esistenza nella quale è ora o tuttora imprigionato, egli compie un percorso circolare, circumnavigando l'isolato e riproponendosi dunque sempre nella stessa direzione. Egli ripassa, non ritorna.

Quella tracciata è solo una breve e parziale cavalcata tra le figure umane di questo luogo dove si mescolano con naturalezza gesti dal sapore divino e quotidiano alcolizzarsi da Guiness Pub.

Nuovi episodi seguiranno, se ci sarà lecito sopravvivere all'impatto con i piatti del giorno, il cui prezzo rimane ignoto alla massa dei fedeli clienti fino all'ora in cui un dolcetto al cocco addolcisce l'amaro, fino al tempo in cui uno scontrino comunica quanto cari da pagare saranno i nostri peccati.



mercoledì 5 novembre 2008

Massaggi mentali

Sam cerca chi gli possa offrire un massaggio mentale, poiché fa fatica a scandire le parole, ad occupare per esse e per sé stesso il posto giusto nel discorso, poiché trova arduo trovare un soggetto alla frase.

Sam si mette a contare, o meglio ad enumerare, ad affiancare un'ipotesi d'operazione ad un' altra. Ad antologizzare virtualmente, le vie possibili, per estrarne infine l'opzione migliore.

Non ha fatto che dirsi come impiegare quell'incerta giornata che aveva l'aria di non voler iniziare.

Frastornato dal suo troppo chiedere, preferirebbe acquietarsi e non fare troppe storie, mettersi in testa che ad un altro giorno ordinario si può sopravvivere con un certo autocontrollo ed un minimo spirito di sopportazione.

S'avventura in cantilene frutto di quella osservazione delle traiettorie sociali che si può fare restando alla giusta distanza.


Chi vuole può entrare

in contatto

in contrasto

in rotta di collisione

in comunicazione


Chi vuole può entrare

in azione


Potrebbe farlo ma poi non lo fa. Recede dal suo intento. Se ne rammarica a lungo ma preferisce passare oltre per non intaccare lo scivolare piatto della giornata.

Poiché il masochistico nutrirsi di rimpianti sembra che serva a rimpinguare il suo serbatoio di storie e temi, a volte lascia che l'occasione gli passi davanti, la guarda avanzare, ne immagina i contorni, poi l'abbandona al suo percorso sconosciuto verso il quale corre.

Nella grande città manca un posto, o meglio manca un tempo. Manca l'aria d'una nostalgia che è di leggerezza, non di giovinezza.

lunedì 3 novembre 2008

Dire la tua, dare la tua


Sam si confronta con l'imbarazzo di far propria la facoltà di giudizio. Preferisce starne a distanza, in tempi come questi in cui la si considera a ragione contaminata dal virus della facile opinione ed in più corrotta da un subdolo abbellimento che lo spirito del tempo impone al suo carattere altrimenti feroce.

Il giudizio così costruito s'espande tra gli accreditati alle visioni che affollano il bus del rientro da un luogo di festival in cui si concentrano con maggiore evidenza le ipocrisie in giacca e cravatta.

Ci si accredita ma ci si dimentica delle credenziali da portare con sé al momento richiesto.

Ed allora si cerca una situazione e se ne parla. All'occasione se ne può far qualcosa. Sempre comunque una parziale ri-costruzione. Si racconta una storia, la Storia, la trama, il plot, il succedersi degli eventi, l'inizio, la fine. I punti forti e quelli deboli. Quelli mancanti. I volti recintanti, la prossimità o meno alla vita reale. Si seleziona dal catalogo in dotazione il metodo d'analisi più adatto all'oggetto in questione. Ci si dota di categorie estetiche pericolosamente traballanti.

Ci si dimentica d'ammutolirsi.

Poiché se fosse sopravvissuto ancora un certo bipolarismo, una certa rivalità tra attivismo e passività, ci si sarebbe accorti che l'opera era là, si era fatta vedere, e noi forse non avevamo fatto altro che averla vista.

Esercizi di mondanità popolare

Animati turbamenti prendono corpo nell'incedere brillo della serata, procedono a passo lento, s'insinuano nel corpo affaticato del bevitore acclimatatosi nel luogo d'accoglienza.

Quel che si dice è un proclama delirante che taglia corto con la realtà e si interessa di quella vita minima che quattro anime riunite posson mandare avanti intorno ad un tavolo.

Non ci si ferma che davanti l'orologio, non ci si arresta che per paura della trasgressione cieca. Non ci si limita se non dopo consultazione con il portafogli amico in dotazione.

Si va avanti per affondare meglio nella verità dei fatti, per penetrare con più coraggio nella perfidia delle azioni da intraprendere di comune accordo, con unità d'intenti, con speranze condivise e condivisibili.

D'ora in poi si prega di lasciar spazio all'inintellegibile.

L'Amarcord del caso non è il solito mortifero gioco del rincorrere gioie passate, ma è una birra dedicata a Federico Fellini, illustre figlio di Romagna, prodotta ed imbottigliata a Falciano, San Marino e bevibile a 6 euro ogni 50cl, ben comodi in sedia alla fine d'un altro venerdì, mentre la tempesta rimane fuori e dentro noi ad ogni nuovo sorso s'alza l'ebbrezza, non si fa più sentire la fatica e s'intravede non troppo lontano un arresto per sorpasso a cento all'ora dei limiti di decenza alla guida della propria vita.