martedì 28 dicembre 2010

Radici



Mi piace sapere a che punto siamo. Anche se non so dove siamo, mi piace sapere a che punto siamo arrivati. Se ce ne andiamo non lo sapremo mai.
Radici, clamorosa gabbia identitaria di fabbricazione ingegnosa, equivoco confortevole come un retroterra mentale che sappia guidarti in terre senza cielo come quelle che sconvolgono i nostri malandati piani.
Equivoco tentacolare a cui ci si attacca e ci si maltratta per timore e terrore di metamorfica svolta esistenziale, pur di non sentirsi alieni a quel che è stato prima del nostro assaggio di passaggio già tutt'altro che follemente saggio.
Siamo qui dove qualcuno che ci ha creato si dice che ancora ci nutra per radicate consuetudini. Qui dove dovremmo ri-conoscerci senza esserci mai conosciuti. Fare uso di memoria visto che di presente siamo a corto da tempo. Il tempo è un presente che in quanto dono si offre ai soli sprovvisti di terrene preoccupazioni.
Invece sbadati sbandiamo. Non abbiamo alcuna bandiera. Banditi. Senza nome. Senza nodi e senza pettini.
Noi siamo diretti da qualche parte, secondo me….
Vorrei fare un passo nella direzione giusta
Vengo con te, per la mia strada…
Dove stiamo
stiamo dove stiamo.
dove siamo
di quale dove siamo
Da dove siamo venuti, più o meno?
Venuti meno?
Svenuti. Prima o poi.
E dove andremo
a parare
o a finire
per giustificare questo nostro radicale proseguire.
È solo un complotto dei cartografi
Qui non arriveremo da nessuna parte
Ci siamo spinti troppo lontani
Ci siamo spinti
E poi siamo caduti poiché già in bilico
Suppongo che andremo avanti e basta
Perché se ci capita, se solo ci capitasse di scoprire, o comunque di sospettare, che la nostra spontaneità è parte di piani altrui, sapremmo di essere perduti..
E si sa, il tempo non è dalla nostra parte.
Ci osserva.
È di noi il freddo controcampo
Per quante bussole possano esserci al mondo, la rotta è comunque una sola, e il tempo è la sola unità di misura..
Le radici umane si lasciano trasportare dalla corrente. Si fanno levigare dalle intemperie. Assumono sembianze antropomorfe solo a posteriore ragion veduta. Solo le radici si fanno sradicare
Andiamo
Dove?
Ovunque
Perché?
.

giovedì 23 dicembre 2010

Tutto quello che voglio mi (de)capita

D'un uomo senza anima in cerca di testa, non la sua, poiché di quella deve fare a meno per tagli sostanziali decisi in sede di s-consiglio mentale causa sopraggiunto notevole indebitamento sentimental-esistenziale.


D'un uomo senza testa in cerca di un'anima, non la sua, poiché già persa nei meandri scoscesi perduranti e rovinosi del desiderio irrisolto, ma di quella di chi gli vuole bene e ha promesso di non farne oggetto d'abbandono.


D'una testa senza anima in cerca di un uomo, quel me stesso ferito per insufficienza di prove d'esistenza e di resistenza.


D'un'anima senza testa in cerca di te.


domenica 19 dicembre 2010

Un lungo giocare lucido LP



Un lungo giocare lucido

rovinoso collage dal sottosuolo

intorno alla confezione domenicale 12 12 10 komakino



This is the hour when the mysteries emerge.
A strangeness so hard to reflect.
A moment so moving, goes straight to your heart,
The vision has never been met.
The attraction is held like a weight deep inside,
Something I'll never forget.



All'amato me stesso

augurerei

un po' più di radicalità


di punk qui ho visto

o meglio udito

solo alcuni rutti


SE ACCENDONO LE STELLE

SIGNIFICA CHE QUALCUNO

NE HA BISOGNO?



e poi invece una stanza decorata di mille vuoti a perdere ad alta gradazione

tutti ben in posa

nessun vetro incrinato o frantumato

nessuna lacerazione dello status quo attoriale


SIGNIFICA CHE QUALCUNO

CHIAMA PERLE QUESTI PICCOLI SPUTI?


un campionatore di suoni

un basso dissonante

la recita dell'errore e non l'errore in evidenza

il barcollamento della trama


dov'è l'idea registica alla base di tutto?


Dov'è la base registica dell'idea?


Dov'è il tutto?


IL CRANIO BRILLA

PUR NASCOSTO FRA LE GAMBE


E quell'unico momento di presenza

con tre dallo stomaco impegnato a ingurgitare lentamente bevande

lentamente

fine lato A

eccezionale rispecchiamento della nostra bivaccante condizione attuale

stanchezza esistenziale e ferite del cuore

concerto sconcertato scordato

ma la violenza dov'è?

Ma l'irruenza cos'è?


Fate irruzione tra di noi, non aspettate che vi aprano la porta


Diapositive

ruggiti mugolanti

uno sbando moderato

uno sballo rimandato


URLO RIME AL FRASTUONO DEL MONDO


Majakovski che si sparò per il fallimento d'una rivoluzione

e noi qui chiniamo la testa in cerca d'applausi


lieto fine senza danni e senza incrinazioni

revival spettacolare un po' vintage un po' azzeccato



The pattern is set, her reaction will start,
Complete but rejected too soon.
Looking ahead in the grip of each fear,
Recalls the life that we knew.
The shadow that stood by the side of the road,
Always reminds me of you.


Un prosecco prima un merlot dopo. Guardate come siamo bravi a farci offrrrrire da bereeee da una ciurma di attenti spettatori parzialmente sconosciuti. In realtà nemmeno tanto. Qui tra neon gelidi e interruzioni moleste, modeste, facciamo solo finta d'ubrrrriacarci. L'alcool lo reggiamo fino ad un certo punto e il palco ancor meno. Siamo veri solo quando ci riposiamo, confessiamo stanchezza somatizzandola e non simulandola.

Poi, lo sappiamo, non possiamo certo farci arrestare da tecnici o gendarmi per danni fisici o morali allo spazio e ai convenuti. Invitanti siamo stati invitati. Abbiamo occupato il rettangolo metateatrale dei nostri vuoti, abbiamo proposto una fruizione più rock, abbiamo alzato il volume, abbiamo spento le luci consegnandovi alle nostre parole disagiate e ai vostri battiti stanchi. E poi no, non abbiamo mai pensato di spararci come Majakovskij. Non c'è più nessuna rivoluzione da piangere o affermare. Ci sono solo dieci e più pesanti sacchi di bottiglie da smaltire, due casse da smontare, un magnifico prezioso telo bianco che fu di Leo da riavvolgere e riportare a casa.


E poi c'è solo un n11 ancora da aspettare, pronosticando al gelo di via Induno quale dei barboni questa volta bisognerà evitare. E no, un gesto d'affetto non è il caso, siamo troppo stanchi per pensare anche a noi e alle nostre reciprocità.



ORA CHE LA FINE È VICINA

AFFRONTO L'ULTIMO SIPARIO


All'odiato me stesso

alla mia testa deleteria

pregasi astenersi da gusti e disgusti

da preferenze e inferenze

e dire ancora e godardianamente

quello che c'è tra le cose

e niente di più

e niente di meno



How can I find the right way to control,
All the conflicts inside, all the problems beside,
As the questions arise, and the answers don't fit,
Into my way of things,
Into my way of things.


VOLEVO RUMORE E VITA VERA

VOLEVO TUTTO

giovedì 16 dicembre 2010

No (non solo un progetto)


Si in ritardo di corsa sotto zero con mani ghiacciate ormai appena dopo le 20 anch'io assisto fin quasi dal cominciamento al nuovo reading del Progetto No in foyer rimesso a elegante nuovo con due camere in azione con occhi amati a lavoro e con diapositive stralunate e fondale nero dal quale quelle lenti come tettoia coprono la fronte del lettore performer.

Dalla di lui semi cupa bocca escono parole come come collage di cyber punk voli pindarici mancamenti sintattici neuroscienza demenzialità colta fatti di cronaca e misfatti di politica e di fantascienza (delle ultime due gli addendi sembrano ormai drasticamente intercambiabili) che vanno a parare in una risata o in una metaforica discesa a fondo del più forbito dei discorsi, dove si tratta - in accurata trasfigurazione del nostro fingerci seriosi umani - di Potere e di schiavi, di succubi di scadenze quotidiane, di macerie, di fiducia rinnovata al degenere sociale, e qui mi pare ci si sia già ripersi e ritrovati già oggi nel bazar di Montecitorio.

Atto politico del non lasciar traccia del senso, del titolare delirante e altisonante, del decantare deformante. Il 7 e il dottor Molese sono antieroi sbilenchi dei nostri perduti giorni, accademicamente franati, fragorosamente bizzarri e poi delicati e poi titubanti e poi argutamente buffi. E qui mentre mi svesto e il percorso di lettura va finendo non so ancora se mi verrà qualcosa in mente da inoltrare al prossimo, degnandolo di un discreto filtro di comprensibilità comunicazionale o se sarà il caso di immolare con affilate armi la sintassi alla negazione galattica proposta dal partecipante al festival Settembre Marco.


Riesumando a questo punto quel che di deontologicamente e responsabilmente più adeguato scrissi a riguardo dello stesso o quasi n7 alcuni mesi addietro.


E infine Marco Settembre, frequentatore assiduo del MArteLiveMagazine sotto altre vesti, in questa occasione investito del ruolo de Il_7 all'interno del suo Progetto No, diario a-cronologico scritto con lo stile del blogger dal 2003 ad oggi, baciato nell'occasione da un imprevisto quanto tempestivo black out di sala (proprio al momento in cui s'accennava di spionaggio) e capace durante la performance di esilaranti trasformazioni nella modulazione vocale.


Ornato di insolite lenti luminose, un dispositivo ottico con il quale scorgere anche nell'oscurità “quel che resta dell'umanità e della società”, il suo reading ha presentato le avventure tragicomiche di un universo parallelo, una versione romana del prossimo mondo a s-venire, tra Orwell e Douglas Adams, tra figure d'incerta origine e ancor meno certa deontologia. Fantascienza apocalittica in chiave sarcastica, parodia divertita d'un genere e insieme critica sociale beffardamente agita per vie traverse, attraverso una sovversione del linguaggio “tecnico”, con inserzioni di elementi estranei, scombinamenti sintattici, dotte arguzie e capitomboli nelle turbe intestinali, senza fronzoli cerimoniali, propagando attraverso un atteggiamento dada l'entropia del senso, per dirla con le parole del 7, il Progetto No è uno sproloquio solo falsamente sconnesso, il ritratto letterario degli abitanti d'un pianeta che ci assomiglia, quello fatto di misere e solitarie “monadi del cinismo godereccio”.

martedì 14 dicembre 2010

Come Bestie che cercano bestie (o palchi?)


Come bestie che cercano palchi. Che azzannano corpi. Che cambiano abiti. Spazi spogli da periferia d'una scenografia, un ring d'assi di legno multifunzionali essenziali perfette per una strana coppia (o solo copia) dalle alterne rovine do botte e puttane di tasche e pance vuote di Testaccio al tempo dell'odore del sangue, del macello, di San Basilio, del passeggiar romantico sotto il monte dei cocci. Presa diretta col popolo in verace lingua di borgata,.

Come bestie misere e disperate. Rabbia simil proletaria paragrafizzata in otto tranche per iscritto da PPP e poi a voce messa in scena trapuntata da pause pop canore e rappresentata da Imamama Teatro in con-formazione con corpo tondo rozzo e sozzo - in esplicito esagerato overacting fin dagli stiracchiamenti attoriali dell'esordio - e suo contraltare trasognante romano rumeno di mastodontica mole sonnecchiate.

Dateci allora un po' di pericolosa violenza agita, scosse energetiche e vibranti colpi a vuoto come carne da macello come copertoni che segnano scomodo corpo umiliato e morto, abbattetevi con le vostre ombre nette su di noi. Come cani dalle ossa rotte, disperati animi dai fetidi odori.

E non attardatevi ancora a raccontare quello che non c'è o c'è stato in un altrove, mandandoci così lontano dal nostro presente spettatoriale, ovvero ancora una volta confortevolmente al sicuro e al riparo dai pericoli dei margini degli eccedenti degli emarginati degli eccessi infetti della carcassa del nostro corpo sociale. Rovinarsi insomma solo coreograficamente e a parole invece che picchiare, ammaccarsi, mancarsi, scopare sul serio ferirsi e grondare sangue.

E invece pur rigettando l'addio borghese come attaccamento alla roba, ci si attiene a ciò di cui in principio si dichiarava l'estraneità e si è ordunque come bestie che non mordono, bestie realiste ammaestrate, cercatrici non di vaste radure nelle quali correre, ma di briglia con le quali restar meno sciolte.

Canzone non cantata, ballata non andata. Inchiodati all'infimo in cui si è impantanati, senza alcuna scala sociale. La riscossa si sa, è nello scendere la china fino in fondo.

(Dentro) Il Castello


[dentro Il Castello della Compagnia Opera Prima in data 10 dicembre in terra metateatrale festivaliera, documentandomi solo con la mia frenesia, il mio malessere, il mio incondizionato approccio dentro e intorno l'opera]

Ordinata disorganizzazione di quel che in regime di socialità si fregia d'essere la regola. È davanti all'impeccabile che bisognerebbe storcere il naso, andare più a fondo, estorcere dunque il succo se non il sapore o il senso del perché vogliamo essere rigorosi aderenti alla norma, efficienti e disciplinati.

Misurarsi con le proprie angosce - angoscianti recite di regole - e con quelle del proprio maltempo. Recriminanti ma non troppo poiché il sottostare a volte funzionalmente ci può stare. Somatizzarle queste angosce, ribattezzarle attraverso mostruose visioni agite di corpi e di fiati. Scomunicando ogni benestante linguaggio e piuttosto sfinendosi come automi bracca(n)ti dall'avvento (l'evento?) che non c'è.

Mascherandosi nascondendosi rincorrendosi. Irresoluti così come dev'essere, intrappolati in un castello tutto mentale e labirintico nel tempo nello spazio e nelle situazioni. Quasi sacrali interpreti di gesti e azioni dotate di magnifica vacuità, di concreta surrealtà, nei pressi d'un varco, d'un telefono, d'un nascondiglio. Con coreografici scambi e ricambi.

Partitura sconnessa quanto rigidamente organizzata, liberi solamente di scoprire - ben disposti seppur recalcitranti - che altro fato non sussiste oltre a quel recitare grottesco sfrenato perso o scortese del nostro incasellarci funzionale tra i meandri dei ruoli e dei palchi, diventando via via quello che si è sempre tenuto conto di non essere.

Eppure ad un certo punto eccoci qui ancora sottostanti a un signore superiore, eccoci implosi ad attendere una chiamata una risposta un abbraccio una timida carezza o una decisiva illusoria illuminazione. Ridotti alla riproposizione nostalgica delle più elementari delle pulsioni, tra rimarchevoli scambi di sguardi a vuoto, silenti riguardose peripezie fisiche, sfiancamento assennato della volontà.

E un dibattersi vorace d'arti e d'articolazioni, con la phoné abbruttita a meritoria animale qualità fatica, quell'avvertirci in fondo nell'anima smisurati disumani, mal esseri senza credenziali adatte per riconoscerci o semplicemente per ricordarci d'esserci, prima o poi, stati.

giovedì 9 dicembre 2010

Texture for a color

Tessiture sonore per partiture visive
maglie di colore per illuminazioni acusmatiche

Offerta di viaggio psico-ottico per menti avviate a lunghe traversate
Astrazioni per orecchie ampiamente aperte ai più disagevoli campi del sentire

Per sopraggiunte esigenze di ricerca, oltre il qualificante e il corroborante: disturbante.


venerdì 5 novembre 2010

DisDire


Una dis-fatta quella del dis-dire, una disdetta che all'agire si applica come vendetta. Ritornare sui propri passi per malefatte della volontà più improvvida.

No, non centrava niente questo preambolo nel dis-dicevole percorso che vado qui inaugurando. No.


Disdicevole insomma il disdirsi prima d'essersi detti. L'appuntarsi con la mente a un dato traguardo e poi accorgersi preventivamente interdetti. Rinviati o annullati a data da cestinarsi. Poiché tra il dire e il fare c'è di mezzo tutto un mare in cui negare di non dover per forza annegare.


DIS DIRE


disabitato

distratto

disfatto

disabituato

dissennato

disancorato

dissestato

disarcionato

dissimile

disturbato

disimpegnato

disarticolato

disilluso

disincantato

disteso

disanimato

disamorato

disinibito

disagiato

disinformato

disabilitato

disorientato

disordinato

distolto


DIS DETTO

domenica 26 settembre 2010

L'ultima spiaggia

L'ultima spiaggia, audiovisivo commiato finale ad una stagione. Incrinatura finale d'una stremata estate sdraiatasi lentamente al buio e in silenzio e mai più rialzatasi. Ultima spiaggia, tempo di non ritorno, soglia liminare e critica d'un inconsapevole spettatore steso lieto sui suoi gusti e tuttavia sempre sul punto di finire minacciato da salvifico oggetto (alieno o artistico) non ancora ben identificato.

martedì 7 settembre 2010

Accasciamento

Precipitosa vita sempre pronta a lanciarsi, a cadere, a decadere senza poter decantare.
Tempo sdrucciolevole d'una stagione che si ripiega su se stessa, scivola via prima che ci si accorga del suo inizio.
E nel frattempo cosa facciamo? Proseguiamo, contro senso, senza precauzioni, senza tempo, senza testa, senza soldi, senza benzina, senza programmi, senza sosta, senza energie. Fumo in testa e birra nello stomaco.
Tra avvistamenti rapidi, svolte vitali, improvvidi dirottamenti improvvisi, frammenti incantati, schivando tori e avvicinando corpi, tuffandosi nell'acqua fredda o in un pastis, rinunciando al sonno e al riposo, come ce la siamo rovinosamente divorata quest'estate tarda. Fatta a pezzi e baciata di vita vissuta.

Poi scivola via, s'accascia, finisce. Ci si gira e non la si trova più. Ci ha raggirati e non ce ne siamo nemmeno accorti...

domenica 5 settembre 2010

Dis-integrato

Tanto frammentato da non poter essere che integerrimo.

A interazione limitata, a integrazione contingentata.

Per entrare in società o in relazione non passo per le sbarre dei codici.

Non riesco a ingranare, mi manca qualche ingranaggio.

Sono integro integrato o integralmente disintegrato?


giovedì 2 settembre 2010

A pezzi spezzati


Io la riconoscevo sempre e solo a pezzi, vale a dire che il suo essere mi sfuggiva e che, quindi, lei mi sfuggiva interamente.

Non era lei, e tuttavia non era nessun altro.

(Roland Barthes)


A PEZZI


È sempre la testa la parte che si rompe per prima




Da un'idea di Elisa Turco Liveri e Salvatore Insana


Performer Elisa Turco Liveri



Progetto di videoproiezione e performance dal vivo. Simbiosi di carne e plastica. Empatia tra umano e non umano, con semovente corpo vivente pronto ad interagire dal vivo con le immagini e gli oggetti di scena.



I cocci che restano dopo lo spettacolo, una volta che il gioco è finito, una volta che la festa è passata, sono i rifiuti dell'evento ormai consumato. Sono la polvere e i rottami d'un mutilato giocattolo da esibire in vetrina, senza una posa ed in balia del tempo.


È sempre la testa a rompersi per prima. Delicata e fragile porcellana rosa, si frantuma, si incrina, si fraziona irreparabilmente. Si stacca dal corpo, parte via seguendo il proprio destino. Deflagra, si fa a pezzi, non trova più il suo posto. Parte mancante, pezzo vacante, mina vagante, è sempre la testa a spegnersi per ultima.



mercoledì 14 luglio 2010

Trova la differenza


Non c'è tregua dalle amletiche parte in cui si dibatte e ci si dibatte sull'inveterata questione della presenza (e) dell'assenza.
Di quante assenze sia possibile fare senza essere (dimenticati), quante ne siano necessarie per sanare una ferita, quante per risarcire il tempo dell'occupazione campale alla quale a volte lo sottoponiamo con stakanovista spregiudicatezza.
Di quante presenze bisogna far la conta prima di potersi dire vivi e vegeti. Dimmi che ci sono, ditemi che ci siete.
Diciamoci d'essere. Diciamoci esseri presenti, attestando a forza di testate - la nostra spregiudicata assente assetata presenza...
Trova la differenza se ci riesci, quel che si vede non è sempre (il) presente.

giovedì 24 giugno 2010

Io non sono chi so

Io non so chi sono, io non sono chi so. io non so, io non sono. io sono io. sono io io? Non sono io. Io sono chi non so. Chi non so io sono. Chi sono io non so. Non so chi sono io. Smantellamento dell'identità. Si prova ad esser diversi e, nel ri-dirsi, nel de-finirsi e nel ri-scriversi, si finisce col ripetere sempre la stessa frase, la stessa fase. Declinarsi per rallentare il declino, prendere tempo cercandosi, fare del sé una (sov)versione comica.

sabato 19 giugno 2010

No, il vetro no!



Nooo, il vetro nooo!!!

Ogni discorso della notte s'interruppe,
rotto da inaspettata violenza primordiale.
Ogni incantato volo di sguardi fu ferito,
braccato dall'urgenza di tornare allo stridore del presente.

Nooo, il vetro nooo!!!

E per punirne l'ardito abuso d'ebbrezza, cominciarono a pestarlo con calci pugni e spintoni, mentre, al sentir urla feroci e bottiglie in frantumi, la piazza terrorizzata si svuotò repentinamente di corpi d'odori e di sorrisi.

mercoledì 16 giugno 2010

Trampolini



Salvami, Salvatore, dal salvabile. Sempre più si tratta un mind games ottuso e perverso, dove labirinticamente ci si bistratta, dove si gioca a perdere, dove si dice di voler andare fino in fondo e poi ci accorge che, al fondo della bottiglia ben poco trasparente contenente la tua vita, si è già maledettamente arrivati.

Gli ostacoli ce li creiamo noi. E se non ci sono, diciamo no.

Perché siam così, insofferenti alla nostra sufficienza, turbati dalla compiacenza immobilizzante, combattuti tra le cose che vogliamo, quelle che dobbiamo volere, quelle che è necessità che accadano. Siamo le cose che capitano, più sappiamo e meno amiamo.

Se siamo in due su un trampolino in cima al paese non possiamo che lanciarci. Lassù fino alle stelle, saggiando l'elasticità della notte, volando lontano lontano lontano, fino all'unica nuvola in cielo, quella che copre le nostre teste e che toccandola ci regala la sua acqua. Dicendo che è irrimediabilmente un bene provare a dare il peggio di sé, intensamente, appassionatamente. Concedendosi la tentazione diabolica di far l'aeroplano verso la montagna issato a metà d'una coupé.

Poi, facendoci svegliare dallo sferragliar di manopole balilla dietro di noi, ci si accorge che il trampolino era dismesso e abbandonato, che a guardar in cielo c'erano anche le formiche e che la sua pancia aveva perso la quiete, riempendosi repentinamente d'un corpo estraneo. Aveva mangiato tutta intera la nuvola che ci sovrastava.

sabato 12 giugno 2010

La scarpa



Le cadde il sandalo destro mentre saliva pensierosa e forse esausta le scale del treno. Continuò la sua marcia, incurante dell'accaduto, senza voltarsi né tentando di recuperare l'oggetto smarrito, fino a sedersi su una poltrona alla mia sinistra.


Di seguito, qualcuno di cui non era certo il rapporto con la ragazza, si accorse della scarpa, la riportò fino al piede dal quale era scivolata e poi ridiscese muto le scale senza esitazioni, non cercando lo sguardo di colei che aveva soccorso, né lasciando alcuna traccia di sé al momento in cui decise di dileguarsi senza mai più riapparire.

martedì 8 giugno 2010

All'obitorio



All'obitorio si mangia un'ottima pizza. E anche dopo mezzanotte puoi trovare dei fumanti supplì al telefono. Si è sempre in mezzo, nel ri-flusso degli eventi, nel dis-corso del tempo. Tra provini a porte chiuse e provette a finestre aperte, tra clacson molesti e nefaste previsioni di apocalissi imminenti. Tra ritrovamenti di “dottori” cancellati dalla memoria e proponimenti di nuove vite condivise.

Tra corpi a pezzi e menti lucide, la rovinosa romanità del “magno e torno”, il copyright che Hitler avrebbe dovuto chiedere a tutti i regimi a seguire (e a tutti i produttori di film che ne mal-trattano le gesta), fino alle kafkiane conseguenze d'una indignazione gentile, d'una birra e d'un amaro, d'una sudorazione eccessiva al volante dell 17 agosto scambiata per sfregio alle regole della più sana condotta (automobilistica e non). D'un soggetto formidabile da girare al più presto - la storia di un'infermiera che lavora nel reparto esami urine della clinica poliziesca, lì a guardar e controllar dietro una finestrella che duecento persone al giorno piscino dentro il barattolo-campione senza compiere sotterfugi vari.

Tra sondaggi su quale sia l'età e quale il modo per tagliare le (proprie) radici, quale quello per non cadere perché appiedati dai propri sogni, tra creme per rendersi opachi e balsamo per sciogliere i pensieri più contorti, tra calendari di lavoro e piani di vita, quale migliore postazione per non più viventi, per inattuali anime autodistruttrici, per apprendisti agenti della morte dall'inconsapevole sorriso tragico. Conniventi figure ammaccate, indomiti girovaghi dissennati in lotta contro l'ovvio, tra intrighi e incanti, tra inciampi e incontri.

Un tavolo come un altro o forse no. Dove, rubando parole randomizzate, c'è la gioia di trovarsi e la paura di perdersi. Dove si potrebbe trovare quel mondo che, accordandosi ai nostri desideri, non ha casa da queste parti.

giovedì 3 giugno 2010

Gabbie


Si comincia presto, piccoli e inconsapevoli. S'impara già in età pre-scolare a stare dietro le sbarre. E ci si diverte anche! Come ci si diverte dentro, e come si è smarriti fuori!


Addestrati fino dall'infanzia nel recinto d'un universo concentrazionario, allenati a pensare gli ostacoli come necessari e insostituibili strumenti a sostegno della tua sicurezza, quella che viene millantata per rete protettiva non è altro che una gabbia camuffata e ornata di piacevoli distrazioni.


Per non farci pensare di poter andare troppo oltre, per non permetterci di cadere a terra, per tutelare la nostra incolumità, la nostra saluta psico-fisica, così che la vita non ci contatti né ci intacchi, così che, ingenui e sprovvisti di anticorpi strategici, la vita non ci venga somministrata se non per canali libidinali confezionati all'occorrenza da chi ha in mano le chiavi della carceraria giostra dentro la quale ci dibattiamo con gioia riflessa.




martedì 1 giugno 2010

In utile

Della temeraria e mai conclusa riconquista del linguaggio, corpo tipografico (e non solo) vilipeso dalla funzione comunicativa pre-assegnatale in tempi di segnaletica rigida delle proprie mosse (motorie e mentali).
Una volta composte, costrette dall'ortopedia sintattica ad accomodarsi in rigide sedie regolative, le parole si adagiano dove la lingua le porta e dimenticano di come il senso uccida il suono.
Ma quello che vogliamo non è dire.
Ed è graziandole d'un fuori posto, fuori tempo, fuori programma, in condizioni impervie e poco intellegibili, che si dona loro il pregio e l'onore di risvegliarsi non più congelate e intorpidite.


sabato 22 maggio 2010

Fecondità inutile


Imprevisti inceppamenti da rito di passaggio con mansueti frettolosi e parzialmente disinteressati giudici officianti riuniti in freddo sonnacchioso semicerchio. D'un discorso rovinosamente abortito in tempo di cerimonia, (tuttavia proprio per questo in comunione di spirito con l'incoraggiamento al cortocircuitare di beckettiana e beniana dissennata smemoratezza). Del non riuscire a (voler) compiere quel gesto di cui ci si aspetta l'esecuzione, del non accettare quel compito di cui l'assegnatario è pronto a sentenziare. Mandante del mio stesso passo falso, ormai consegnato al grande mare aperto che segue ogni fine, propongo fuori tempo massimo un offerta agli assenti, compreso in tale onorata cerchia quel me stesso - disatteso e per nulla disteso - che mancava più di tutti.

Della fecondità paradossale dell'inutile (praticato e, così, negato), ovvero al di là dell'utile e dell'inutile, sorpassando in volo un altro manicheo dualismo, guadagnando con la fatica dell'incomprensione un effetto liberatorio, inteso nel senso di una generale ri-considerazione della vita, dalla pratica quotidiana a quella in cui ci si confronta e scontra con la cosiddetta arte, restituendo pari dignità ad ogni fenomeno sonoro, e ad ogni azione, allargando i confini e rigettando i ruoli che il gusto, il soggetto, l'autore, etc. tendono a imporre sull'opera e sull'esistenza stessa.

Praticare l'inutile, slegando l'arte da una serie di funzioni di cui era investita in modo eterodiretto: comunicare in primis, trasmettere un messaggio, farsi comprendere, servire. I suoni, così come le immagini, così come i corpi, non risultano più impiegati alle dipendenze di un'idea.

Cambiando il punto di vista sulle cose: non più antropocentrismo, ma semmai il punto di vista del cosmo, quello che ci ricorda, ricordandoci di come la terra si muova senza sosta sotto i nostri piedi, che anche la nostra identità dovrebbe rotolare in un sempre diverso altrove.

Praticare l'inutile per ri-considerare le categorie interpretative, gli schemi e le gerarchie di valore, gli assoluti, i confini e i limiti. Le leggi, gli errori, le barriere. Liberandosi dagli investimenti libidici che funzionano come agenti polizieschi nei confronti del consentito e del negato. Contro la separazione tra campi compartimentati e segregati di sapere, schizofrenica circolazione delle (ancora una volta mancate) identità.

Per ri-considerare i dispositivi: il medium è non solo il messaggio, ma diventa la metafora e addirittura il corpo sul quale e con il quale si lavora: contro la sintassi, la punteggiatura, le convenzioni stilistiche, la funzionalità dell'alfabeto, c'è ancora da credere che la rivoluzione si possa fare nelle forme.

Per ri-considerare il rapporto di fruizione all'opera, andando oltre i luoghi e i tempi deputati, facendo cadere i criteri valutativi/misurativi e disarmando i giudicanti.

Per ri-considerare il processo costruttivo: lasciar spazio agli eventi sonori così come si presentano, tendendo a prescindere dal gusto personale, dagli interessi, dalle abitudini.

Predisporsi all'esperienza dell'impensabile e dell'inaudito. Essere nell'atto.

Liberando i suoni dal concatenamento logico, dal discorso, dalla relazione causale, dalla subordinazione al discorso e alla retorica degli affetti.

Per ri-considerare il ruolo dell'artista e quello dell'uomo. Liberarsi dal virtuosismo dell'azione grandiosa e dal culto della vedette attraverso azioni e non esclusivamente appannaggio di pochi eletti; attraverso una riconquista del quotidiano, attraverso l'introduzione del non musicale nell'opera, negando l'esistenza del silenzio e confutando le gerarchie pre-stabilite tra suono/rumore.

Liberando l'esecutore dall'obbligo di articolare il minimo dettaglio della sua opera come costrutto di senso. Liberando l'opera stessa dalla rappresentazione, dall'espressione, dalla retorica, dalla causalità e della teleologia.

Scegliendo la non-categoria dell'astratto per la sua impossibile determinazione ad un contenuto preciso, univoco, oggettivo.

”Rovinandosi” e facendo il cretino, sprecandosi e de-pensando.

Spostando l'attenzione dall'inizio e dalla fine dell'oggetto (il risultato), verso un'esperienza il cui esito non è prevedibile e che perciò, in quanto tale, si avvicina all'esperienza della vita.

Praticare l'inutile come definitiva liberazione dalla noia, che, se si riesce a tenere aperte le orecchie e gli occhi, non esiste più, liberazione dal bene e dal male, dal giusto e dallo sbagliato. Liberazione dall'errore. Liberazione dal progresso, dalla memoria e dalla conservazione.

Per liberarsi dall'assolutismo e dall'espressione del sé e dalla volontà del soggetto: noluntas

Liberarsi dall'imperativo della produttività, dal pensiero aziendale fatto di efficienza, di efficacia, di misurazione.

Liberarsi dall'economia come unico criterio valutativo, fallace dato di natura dal quale decondizionarsi: risalire verso il dispendio sociale improduttivo, verso il dono senza speranza di profitto, verso lo spreco “invernale” (il sacrificio, la guerra, il dono di sé) o l'esplosione primaverile (il riso, la comunicazione sessuale, la gioia estatica), pensare l'essere come fuoriuscita dai limiti dell'utilità, fuori dalla compostezza e dalla ragionevolezza.

Sottrarsi alla chiusura progettuale del linguaggio e della produzione: non servire.

Criminalmente, passare dal controllo dell'evasione all'evasione dei controlli.

sabato 15 maggio 2010

Discussione (sull') inutile



D'inutilità ogni pensiero giudicante si riempe facilmente la bocca.
Una volta tracciato il proprio percorso di senso (il progetto, l'obiettivo, il fine o la fine), quel che de-borda, fuori-esce, non rispecchia le aspettative, non segue la tabella di marcia o per-segue il pre-stabilito viene tacciato d'esser superfluo, vano, vacuo, sovrabbondante, inadatto, non pertinente, senza senso, inutile.

Discussione (sull') inutile

intorno all'elaborato finale senza capo (an-archico) né coda (a-teleologico) di Salvatore Insana

Lettura della definizione inutile a cura di Elisa Turco Liveri

Tavola rotonda sull'argomento presieduta da George Bataille, con la collaborazione di Guy Debord, Jean Baudrillard e Jacques Derrida

Interverranno, tra gli altri, Carmelo Bene, John Cage, Morton Feldman, Antonio Rezza e Flavia Mastrella, Roberto Nanni, Bruno Munari, Emile Cioran, Albert Camus, Werner Herzog, Philippe Petit

Proiezione di estratti rubati da Pierrot le Fou di Jean Luc Godard, Salomé di Carmelo Bene, Elegia di un viaggio di Alexander Sokurov, Dolce vagare in sacri luoghi selvaggi di Roberto Nanni, Torpore internazionale di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, La provinciale di Mario Soldati, Umberto D. di Vittorio De Sica, Accattone di Pier Paolo Pasolini

Workshop a cura di Cesare Zavattini e John Cage sulle più avanzate tecniche di apertura mentale degli occhi e delle orecchie.

Prove tecniche di suicidio con Arthur Cravan, Jacques Vaché e Jacques Rigaut

Presentazione del cortometraggio Hommage à John Cage (Salvinsa, 2010)

Supervisione del progetto a cura di Charles Baudelaire, Marcel Duchamp ed Erik Satie

Realizzato con il patrocinio di Giacomo Leopardi e Baruch Spinoza

Gli spettatori e gli altri convenuti si potranno accomodare sulle sedie a-funzionali messe inconsapevolmente a disposizione da Joe Velluto, e potranno intervenire nel corso del dibattito con osservazioni e consigli inutili

Un sentito ringraziamento al professor Giovanni Guanti, che ha reso possibile l'evento



Martedì 18 maggio ore 15

Aula Conferenze
Facoltà di Lettere e Filosofia
Università di RomaTre
via Ostiense 234

sabato 1 maggio 2010

Ad uso ufficio


Affittasi menti ad uso ufficio

Verrà allora il tempo di quella segretaria personale che cerchiamo fin dal principio, colei a cui delegare i nostri stanchi e infastiditi passi tra gli animali sociali, tra sveglie scontrini file cordialità cerimonie appuntamenti scadenze pegni e impegni.

Verrà e si presenterà con zelo: Io sono il vostro Tom Tom esistenziale, provvedo ai vostri disorientamenti, li acutizzo o li allevio secondo la vostra (mancanza di) volontà. Io sono la vostra voltapagine, colei che, quando si tratta di operare una svolta, sa scegliere il momento giusto. Io sono colei che non vi riporterà all'ordine pre-costituito se state felicemente deragliando altrove. Io non verrò a cercarvi se vorrete non esserci.


Cedesi lamenti senza sacrificio. Ma sì, occupiamoci anche dei meno sfortunati per una volta. Guardiamo in alto, miriamo bene, scegliamo il bersaglio con cura. E poi spariamo. Ragionevolmente e con tutta l'assennatezza che le ore notturne portano al seguito.

lunedì 26 aprile 2010

Re-esistenza

Fare resistenza oggi è opporsi al sorriso finto da frontman tv, al selezionato salotto d'opinione plastificata. Alla mercificazione dei corpi, alla schedatura dei gusti, all'appartenza. È negare la coincidenza paradossale tra progresso tecnico e qualità/valore estetico. Fare resistenza è proporre un'alternativa degradata, regressiva e, se è il caso, difforme, che ne se fotta (andando al di là) della confezione impeccabile, della perfetta esecuzione, degli onori della giuria, del titolo da conseguire. Fare resistenza è rigettare e demolire lo spettacolo fatto di ruoli, di personaggi, di applausi, di luoghi e tempi deputati, di mestieri e misure standard, di pacchetti vantaggiosi e buoni sconto. Di accreditati e screditati, di frasi fatte e giudizi precotti. Fare resistenza è non scendere a patti con l'intrattenimento, con la speranza, con la consolazione. Resistenza è non con-fermarsi alla coincidenza della tua creazione con la presunta realtà che ti circonda. Fare resistenza è non confondere pecore su un palco con rappresentanti da eleggere. È non confondere pecore con popolo. È non parlar a s-proposito (e il proposito manca sempre) di libertà. Fare resistenza è non (voler) comprendere.

sabato 24 aprile 2010

Polveri e catene



...soffiate, soffiate forte: le polveri sottili ovvero il perfetto congegno di smascheramento spettacolare. La presa di coscienza passa per l'interruzione e la paralisi, per la sosta forzata e il disagio ad oltranza. Sono qui e non posso andarmene. Tutto è rinviabile tutto è rimandato. T'accorgi che correvi e che non ce n'era bisogno...


Dormono in vetrina e son più di cento. In gabbia e dietro vetro trasparente...aria limitata e energie finite...le polveri sottili e le reazioni a(lla) catena. Le catene degli impegni ridotte per una volta a dormitorio zeppo di boccheggiante carne in attesa.

Ecco a voi le conseguenze d'una eruzione vulcanica in Islanda, nube tossica in espansione, eccezionale detonatore di disturbo e causa di molteplici interruzioni al trasporto, eccezionale butterfly effect capace di costringer centinaia di passeggeri a sostare forzatamente nella sala d'aspetto di Termini....la beffarda vendetta della Natura nei confronti dell'efficienza dei ritmi umani...


Il virus di sistema è la Madre Terra

venerdì 9 aprile 2010

Meta-Ri(s)catti


Pedaliamo tutti su un battello ebbro e senza capitano. Con vino rosso e bianco della casa. Sconvolgiamo il posto e poi rimettiamolo come sembra ci sia stato imposto.

Positivamente contrariati e improvvisamente contraddetti. Parzialmente sconcertati, meglio sorpresi, mai abbastanza allarmati.

E poi sognai di restar lì e diventare in tua compagnia una di quelle statuarie bottiglie vuote...immobili e stoiche nella loro irreprensibilità d'atteggiamento. Come vetri a perdere, asciugati d'alcool e senza più tappo, disponibili cioè ad accogliere qualsiasi nuovo pensiero piombante dall'alto. Ebbri eppure ancora mal soddisfatti, restando lì a fissare i nostri occhi o la bellezza del palazzo di fronte, con coperte fatte di parole ed intenzioni senza ritorno, d'avventure vicine e lontane, di nuove creazioni e nuove creature, di bambole senza testa e di piedi senza capo. Di scimmie celebranti messa, di preghiere blasfeme e di rhum risicati, d'aperitivi del giorno dopo, di fughe da questo tempo. Mancanti e conquistati da quel senso di vuoto d'aver finito la corsa entusiasmante che aveva portato alla cosa del 7 aprile....

Organizzasi casting, Cercasi segretaria servizievole ed efficiente, che sappia indicarci la via per confonderci un po' meglio. Che sappia guidare i nostri smarrimenti, che ci aiuti ad inciampare e a compiere ulteriori errori condivisi.

Collezionando coincidenze, siamo in mezzo e non abbiamo un mezzo. O forse ne abbiamo troppi. Potrebbero travolgerci o potremmo farci travolgere. Salire di corsa e poi scendere il prima possibile. Tentare di farsi colpire. O anche allearsi per colpire. Meglio che ieri, con più veemenza, facendo irruzione nelle strutture protettive..nelle corazze protettive. E state più attenti, provate a vederlo quel suono che cammina nel buio e penetra le tue orecchie. Ancora e ancora. Ulteriormente.

martedì 30 marzo 2010

Parole senza


Parole senza (un senso, la giusta ferocia o solamente un perché)
ovvero di come sia facile invertire l'ordine delle cose a pochi minuti dalle 3

Dove sono o dove si possono ancora trovare le corrispondenze biunivoche?

Benvenuti nel fertile deserto della notte, a 26 minuti dal prossimo N9 e a soli 4 dal precedente
Tra ombre claudicanti e fantasmi ebbri
tra straniere comitive eccitate e pendolari attardati
tra promesse e rinunce
tra proposte e fatiche
il freddo avanza anche a fine marzo
tra i fantocci del presente e le macerie elettorali

Tifiamo rivolta e cerchiamo conferme
[e se è il caso pisciamo indisturbati davanti l'ufficio informazioni]
dentro e fuori noi
vaghiamo a vuoto in abiti eleganti

No, non ci sono per nessuno
no, forse non sono proprio nessuno

La vetrina non è più in allestimento, i sorveglianti in uniforme messsaggiano al cellulare, i senza casa vomitano parole: take care, i respect you, so you respect me too!

E le intenzioni sono sempre ulteriori.

No, non voglio un taxi
Non voglio un passaggio
Semmai solo un assaggio
di come saremmo, di come potremmo

Scusa, quale autobus va ad Ostia? Chiedi tu, io non so parlare bene...Prendi questo, poi scendi a Piazza Venezia e cerca di catturare l'N3!

Ma si, ci piace Godard anche dopo un litro di vino. Soprattutto e ancora.

Ma si, nel Lazio era lecito sperare, e continuarsi a dimenare.

Poteva andare peggio?!? No! Scrisse Altan e nella notte mi si riferisce

Ma si, mi piace prendere il notturno all'una.
Ma si, mi piace prender le cose per quel che non sono, farmi trasportare, da quattro ruote, da un volto o da un pensiero
tra i ritardatari e gli attardati
tra gli incompresi e gli altrimenti adatti

Siamo al capolinea
cerchiamo un inizio
vogliamo un indizio

Le mie parole sono sassi
Le mie immagini sono schiaffi
e forse cerco solo incendi in cui tuffarmi per bruciare con una certa indisturbata intensità.
E allora rubiamo, raccogliamo e deprediamo quello che occhi e orecchie catturano, gioco sfinito eppure infinito del radunare oggetti trovati - Socrateeeee – per smembrarli e ricomporli, trasferirli e riadattarli.

Sento un'eco
e non è della mia voce
Sento dei tacchi
e non son quelli
delle mie
scarpe.

Stiamo all'erta, gli sfoghi son senza valvole
e la fermata è prenotata
Presto si scende per non andar da nessuna parte.

E in fondo, la via che cerchi non è d'uscita

E in fondo, cosa possiamo farci noi (che non sappiamo cosa sia l'audacia)

La speranza è una trappola, e il paese che la vota è un incubo.

Ci siamo quasi. All'inizio o alla fine.


No, non ci credo
No, non mi credo.

domenica 28 marzo 2010

Passi

De-testate attese, tesi e testardi movimenti marginali. La riscrittura dell'esperienza vissuta come arma di raffinamento e di sfinimento. Di moltiplicazione e di erosione.
Solo i piedi – quelli dotati, quelli sgraziati - sanno aspettare.
In perturbata quiete, meglio perderla, la testa, mentre conti il grande imperturbabile, il tempo che manca o quello che ancora ti resta.
Attitudine umana o solo cittadina, quella dell'appostarsi alla fermata in attesa che la vita passi a prenderti.
Andirivieni di corpi con falcate difformi e specificità tagliate in basso. in fondo, tra i passi dei prendenti/perdenti autobus, siamo tutti uguali. In basso, tra arti inferiori in concitata o tiepida azione – in trepidazione - siamo tutti volenterosi passeggeri volenterosi di farci trasportare...

martedì 16 marzo 2010

RRG


D'una celebrazione d'un versificatore che non ho mai conosciuto.

Morto ma non de-funto. Non ancora privato del suo presunto ruolo.

Morto ma non estinto. Non ancora eliminato dal suo amato suolo.

Mai incontrato eppure per giorni rivisitato. Ormai sono parte di me quelle istantanee d'un conterraneo oggi eletto a poeta e per lunghi anni dissipatosi tra il paese e il resto della terra. Morto ma non de-funto.

Ti stritoleranno nel mondo, là, fuori da qui, non funziona come dentro la tua testa!


Sono una calamità

crollo da solo

Sono una calamita

non rinuncio a nessun contatto


Leggo, mi surriscaldo, non abbandono il mio stato.

E quasi mi inceppo. Avrei tanto voluto farlo.

Vola via l'anima da noi, lo spirito si dissocia dalle occupazioni del corpo. Non c'è modo più di ritrarci in pose e in dimensioni che non siano distorte.

Dov'è la poesia e di quale sia il suo posto. Tra il comodino e le corde vocali. Tra il diario di bordo e il messaggio d'auguri. Tra la spinta a procedere e quella a buttarsi giù. È forse nell'anfratto minimo tra le cose che facciamo. È quel che non sappiamo dire definire circuire denotare mortificare?

E come può avvicinarsi a noi in mezzo a tutto questo frastuono di solennità?

Delirio lirico in forma di bozza atemporale. Declamabile con tutti i dubbi del caso. Con tutta la frenesia del perché mai dovrei occuparmene. Con tutta la disponibilità del non mi stai dicendo niente.

Di come essere egoisti e di come diffondere le proprie dolorose intimità. Offrirle a chi ha le ferite più aperte.

Postumi tumefatti d'un approccio inedito.

Si tratta di lampi. Di scosse dalla durata d'un verso. Dall'intensità di una sillaba. Si tratta di scosse, di perturbazioni necessarie, di assenze rivelate, di punteggiature rinnegate.

Tra invocazioni e ringraziamenti, tra celebrazioni e mancamenti, commozioni e fragilità, impasse, piccoli entusiasmi, rivendicazioni egocentriche e dichiarazioni d'intenti, tra provocazioni e ritrovamenti, punti di partenza e coazione a ripetere. Insoddisfazioni, spese vive e poco chiari contributi.

No, non è con gli applausi che vorremmo avere a che fare. Non ci sono cesure né salvezze né scorciatoie liberatorie e classificatorie in un happening che si rispetti. Ma forse non è il luogo, non è il tempo.

Tra equivoci impedimenti e problemi tecnici, il parlar limpido e diretto trova la via di certi sguardi. Nell'intesa di un certo desiderato incrociarsi di occhi lontani eppure assai prossimi nel riconoscersi, tra le teste accomodate, in quelle parole che volavano allora in sala. Un sorriso e poi un altro e poi meglio non esagerar, ché ogni musa che si rispetti sembra sia fatta per non poter essere approcciata se non con la mente, per non poter esser accarezzata che con le idee.

Ognuno ha quel che (non) si merita, ovvero ogni riconoscimento è tardivo. Tra solennità e semplicità, una mano appoggiata con la fragilità di chi a fatica non crolla stremata, resistendo orgogliosamente aggrappata alla spalla di quel busto ancora fresco. E il poeta vivente che barcolla ubriaco e timido. Non posso esser io a leggermi oggi, qualcuno può farmi da degno delegato?

Colui che era sempre incazzato, indignato, fuori posto, si sentì in fin di vita e checovianamente “il maggiordomo di una casa in cui più nessuno vive”.

Necessità di diffusione, nuove tecnologie, vecchie discrasie. Ringrazio il sindaco e tutti i convenuti.

Viveva per la poesia e per null'altro. L'unico che convinse i non fumatori che fumare è bene.

E nel mezzo o da qualche altra parte, tra sensazioni contrastanti di chi è ancora vivente, Sam arancia, per eccesso di generosità spremuto fino all'osso da chi si accorge della sua bonaria avveduta e sognante sprovvedutezza, della sua incapacità a dir no, della sua tenace e donchisciottesca lotta contro le leggi del soldo. Verrà il giorno in cui non potrai più farlo, ripete ad ogni incontro uno stanco respiro paterno. Verrà il giorno e non ti avvertirà.

E poi, come può un mancino destreggiarsi?

No, non è il tuo forte puntare il dito. Non è il tuo forte puntarlo in alto.

C'è qualcuno che si distrae e non dovrebbe. Non avrebbe dovuto. Non sa come nascono le sconfitte. Non sa come sia facile cadere dall'altalena.

Mi hai chiuso fuori, non ti sei accorto che ero sul balcone...

mercoledì 3 marzo 2010

Il cane sulle strisce

Avevo appena finito di percorrere Via del Pigneto quando, giungendo all'incontro con Via Aquila, mi fermai controllando se fosse possibile avanzare.

Vidi allora un cane dal pelo lungo affiancarsi a me mentre attendevo.

Osservò il semaforo, aspettò che il segnale diventasse verde, voltò attentamente lo sguardo a destra e sinistra e poi attraversò la strada sulle strisce.

Io sorrisi sbalordito, indugiai un attimo sull'accaduto e poi attraversai a mia volta.

martedì 23 febbraio 2010

La fretta invecchia con il tempo


Era giorno di sconti alla Feltrinelli di Viale Marconi. Una buona occasione per conquistare finalmente, e con il presunto sconto del 20% sul furto di copertina, gli Incontri alla fine del mondo di Werner Herzog.

Mi diressi subito in cerca del libro, evitando pericolose distrazioni tra nuove pubblicazioni e copertine in bella mostra. Lo trovai, scoprii che avrei risparmiato ben 2,40 euro e mi avviai verso la cassa.

Il sabato e l'abbassamento dei prezzi avevano però creato un lungo cordone di vittime di questo mercato della parola scritta. C'era da aspettare alcuni numerosi minuti prima di sentirsi offrire un arrivederci e grazie con contorno di scontrino e raccolta punti.

Cercando un appiglio che facesse trascolorare in interesse e gioia la rabbia di quella che era la mia forzata attuale posizione nel mondo, m'imbattei nel titolo del quale su un divano notturno in fondo all'Italia avevo (dis)corso con un'anima affine.

Il Tempo invecchia in fretta di Antonio Tabucchi era lì, in cima ad una catasta di fresca rilegatura, a consigliarmi di prenderlo tra le mani e e farne compagno d'attesa. Così feci, iniziando a divorarne le prime pagine, dal frammento di Crizia che dà il titolo al libro fino a quello che ora più non ricordo.

E allora, pur nell'erosione progressiva della cordialità, confrontandosi con la pazienza in esaurimento del “quanto ci metteremo” e del “quanto ci toglierà” (alla nostra vita) questo frangente sperperato con il naso sulla nuca d'un altro cliente, da momento di tortura in cui a furia di inseguire le ombre il tempo invecchia in fretta, la premura divenne e mi risultò prematuramente obsoleta.

A contatto con quel testo c'era insospettabilmente modo di guardarsi intorno, predisponendosi nell'atteggiamento spettatoriale di chi in nessun caso nega la possibilità che anche la minima azione riesca a coinvolgere un pensiero attento.

Accorgendomi che, nell'acclimatarsi lieto e non egoista tra le insofferenze degli abitanti di una coda, anche la fretta può invecchiare con il tempo.

mercoledì 10 febbraio 2010

Appostarsi




Appostarsi. Perlustrare con occhi.


Allenarsi, con tutta l'attenzione voluta, con tutto l'irrispetto dovuto, nell'ostinata pratica dello stare a guardare, e fare di ciò l'ossessivo controcampo all'intramontabile azione dell'attendere.
Ovvero di come occuparsi per immagini di chi non sa come riempire il proprio tempo, dall'ordinario e mesto pendolare al viaggiatore risolutamente smarrito, dal disperato mendicante allo scanzonato studente, nella precaria presunta banalità del momento di passaggio, nella progressiva e costante paralisi dell'empatia nella sfera sociale d'una banchina o d'una panchina.



Raccogliendo, negli spazi geometrici e netti di una Stazione Trastevere ricca di marmo bianco, di insegne e cartelloni pubblicitari, di cavi d'alta tensione, di volatili e di rifiuti, un vasto campionario iconografico all'interno del quale - tra tese strategie di resistenza, imbarazzi, via vai di piedi e di treni, e insofferenti atteggiamenti della più annoiata attesa - i corpi umani s'incastrano con l'inorganico e ogni immagine catturata oscilla tra il criterio estetico e quello sociologico, diventando metafora di quell'efferato gioco della variazione nella ripetizione che fa della nostra vita una continua illusoria (rin)corsa alle coincidenze da non perdere.

sabato 6 febbraio 2010

Le cose che servono

A proposito dell'utile e dell'inutile ...del servire, dell'esser servi e servitori, d'una causa o di nessuna. Provinciali nel pensiero o nell'azione.
Il realismo dell'utopia e il tempo disperso della ricerca.
Della necessità del disordine e della giocosa indagine solitaria.
A proposito delle cose ognuno capisce e nessuno carpisce...


martedì 2 febbraio 2010

Il futuro siamo voi



Il futuro siamo voi
merci in ordinata seriale perenne esposizione
corpi nudi piallati dalla moda
privati d' imperfezioni
campioni di scultorea levigatezza
sguardo fiero e ammiccante
portamento tronfio e accattivante.


Il futuro siamo voi
emblemi diversamente deperibili dalla carne umana.

saturati di realtà,
Così tanto marcati, così poco rimarchevoli.


E poi, avete mai visto un manichino avere dei dubbi?

mercoledì 27 gennaio 2010

Venire a mancare



Manco a farla apposta.

Manco e lo faccio apposta.

Dis-appaio.

Appaio l'abilità del non esserci con quella dello sparire.

Manco e poi mi apposto.

Osservo assente le ricerche che quel che resta di me compie nel tentativo di ritrovarmi.

Avviso ai non clementi: trasparente come sono, parlo a viso scoperto e non me ne accorgo nemmeno.

E se vengo verso voi, è solo perché provo a mancare.

sabato 23 gennaio 2010

Alla ricerca del vento perduto


Alla rincorsa del vento perduto. Contro il tempo, alla ricerca dello shock da tempesta. Da esondazione degli animi sopiti, fuori dagli argini del torpore.


Nell'entusiasmo tanto cupo quanto peterpanesco del non sapere cosa ci aspetta e proprio perciò di volerlo scovare.


Trovare prima di progettare di cercare. Fertilizzare i propri esangui stimoli con la rottura della catena ordinaria dei propri passi appassiti. Slalomeggiando tra gli ostacoli della ripetizione e della disillusione.
E lui, dietro, silenzioso e fumante, a risponder con un beckettiano “Sto aspettando” all'ordinaria domanda del “cosa stai facendo”.

lunedì 11 gennaio 2010

Di pendenti


...Di pendenti alla corda del lavoro e d'un abbaglio infelice chiamato articolo Uno...

...Come disintossicarsi dalla volontà d'impiegarsi e dalla necessità d'occuparsi????