giovedì 24 giugno 2010

Io non sono chi so

Io non so chi sono, io non sono chi so. io non so, io non sono. io sono io. sono io io? Non sono io. Io sono chi non so. Chi non so io sono. Chi sono io non so. Non so chi sono io. Smantellamento dell'identità. Si prova ad esser diversi e, nel ri-dirsi, nel de-finirsi e nel ri-scriversi, si finisce col ripetere sempre la stessa frase, la stessa fase. Declinarsi per rallentare il declino, prendere tempo cercandosi, fare del sé una (sov)versione comica.

sabato 19 giugno 2010

No, il vetro no!



Nooo, il vetro nooo!!!

Ogni discorso della notte s'interruppe,
rotto da inaspettata violenza primordiale.
Ogni incantato volo di sguardi fu ferito,
braccato dall'urgenza di tornare allo stridore del presente.

Nooo, il vetro nooo!!!

E per punirne l'ardito abuso d'ebbrezza, cominciarono a pestarlo con calci pugni e spintoni, mentre, al sentir urla feroci e bottiglie in frantumi, la piazza terrorizzata si svuotò repentinamente di corpi d'odori e di sorrisi.

mercoledì 16 giugno 2010

Trampolini



Salvami, Salvatore, dal salvabile. Sempre più si tratta un mind games ottuso e perverso, dove labirinticamente ci si bistratta, dove si gioca a perdere, dove si dice di voler andare fino in fondo e poi ci accorge che, al fondo della bottiglia ben poco trasparente contenente la tua vita, si è già maledettamente arrivati.

Gli ostacoli ce li creiamo noi. E se non ci sono, diciamo no.

Perché siam così, insofferenti alla nostra sufficienza, turbati dalla compiacenza immobilizzante, combattuti tra le cose che vogliamo, quelle che dobbiamo volere, quelle che è necessità che accadano. Siamo le cose che capitano, più sappiamo e meno amiamo.

Se siamo in due su un trampolino in cima al paese non possiamo che lanciarci. Lassù fino alle stelle, saggiando l'elasticità della notte, volando lontano lontano lontano, fino all'unica nuvola in cielo, quella che copre le nostre teste e che toccandola ci regala la sua acqua. Dicendo che è irrimediabilmente un bene provare a dare il peggio di sé, intensamente, appassionatamente. Concedendosi la tentazione diabolica di far l'aeroplano verso la montagna issato a metà d'una coupé.

Poi, facendoci svegliare dallo sferragliar di manopole balilla dietro di noi, ci si accorge che il trampolino era dismesso e abbandonato, che a guardar in cielo c'erano anche le formiche e che la sua pancia aveva perso la quiete, riempendosi repentinamente d'un corpo estraneo. Aveva mangiato tutta intera la nuvola che ci sovrastava.

sabato 12 giugno 2010

La scarpa



Le cadde il sandalo destro mentre saliva pensierosa e forse esausta le scale del treno. Continuò la sua marcia, incurante dell'accaduto, senza voltarsi né tentando di recuperare l'oggetto smarrito, fino a sedersi su una poltrona alla mia sinistra.


Di seguito, qualcuno di cui non era certo il rapporto con la ragazza, si accorse della scarpa, la riportò fino al piede dal quale era scivolata e poi ridiscese muto le scale senza esitazioni, non cercando lo sguardo di colei che aveva soccorso, né lasciando alcuna traccia di sé al momento in cui decise di dileguarsi senza mai più riapparire.

martedì 8 giugno 2010

All'obitorio



All'obitorio si mangia un'ottima pizza. E anche dopo mezzanotte puoi trovare dei fumanti supplì al telefono. Si è sempre in mezzo, nel ri-flusso degli eventi, nel dis-corso del tempo. Tra provini a porte chiuse e provette a finestre aperte, tra clacson molesti e nefaste previsioni di apocalissi imminenti. Tra ritrovamenti di “dottori” cancellati dalla memoria e proponimenti di nuove vite condivise.

Tra corpi a pezzi e menti lucide, la rovinosa romanità del “magno e torno”, il copyright che Hitler avrebbe dovuto chiedere a tutti i regimi a seguire (e a tutti i produttori di film che ne mal-trattano le gesta), fino alle kafkiane conseguenze d'una indignazione gentile, d'una birra e d'un amaro, d'una sudorazione eccessiva al volante dell 17 agosto scambiata per sfregio alle regole della più sana condotta (automobilistica e non). D'un soggetto formidabile da girare al più presto - la storia di un'infermiera che lavora nel reparto esami urine della clinica poliziesca, lì a guardar e controllar dietro una finestrella che duecento persone al giorno piscino dentro il barattolo-campione senza compiere sotterfugi vari.

Tra sondaggi su quale sia l'età e quale il modo per tagliare le (proprie) radici, quale quello per non cadere perché appiedati dai propri sogni, tra creme per rendersi opachi e balsamo per sciogliere i pensieri più contorti, tra calendari di lavoro e piani di vita, quale migliore postazione per non più viventi, per inattuali anime autodistruttrici, per apprendisti agenti della morte dall'inconsapevole sorriso tragico. Conniventi figure ammaccate, indomiti girovaghi dissennati in lotta contro l'ovvio, tra intrighi e incanti, tra inciampi e incontri.

Un tavolo come un altro o forse no. Dove, rubando parole randomizzate, c'è la gioia di trovarsi e la paura di perdersi. Dove si potrebbe trovare quel mondo che, accordandosi ai nostri desideri, non ha casa da queste parti.

giovedì 3 giugno 2010

Gabbie


Si comincia presto, piccoli e inconsapevoli. S'impara già in età pre-scolare a stare dietro le sbarre. E ci si diverte anche! Come ci si diverte dentro, e come si è smarriti fuori!


Addestrati fino dall'infanzia nel recinto d'un universo concentrazionario, allenati a pensare gli ostacoli come necessari e insostituibili strumenti a sostegno della tua sicurezza, quella che viene millantata per rete protettiva non è altro che una gabbia camuffata e ornata di piacevoli distrazioni.


Per non farci pensare di poter andare troppo oltre, per non permetterci di cadere a terra, per tutelare la nostra incolumità, la nostra saluta psico-fisica, così che la vita non ci contatti né ci intacchi, così che, ingenui e sprovvisti di anticorpi strategici, la vita non ci venga somministrata se non per canali libidinali confezionati all'occorrenza da chi ha in mano le chiavi della carceraria giostra dentro la quale ci dibattiamo con gioia riflessa.




martedì 1 giugno 2010

In utile

Della temeraria e mai conclusa riconquista del linguaggio, corpo tipografico (e non solo) vilipeso dalla funzione comunicativa pre-assegnatale in tempi di segnaletica rigida delle proprie mosse (motorie e mentali).
Una volta composte, costrette dall'ortopedia sintattica ad accomodarsi in rigide sedie regolative, le parole si adagiano dove la lingua le porta e dimenticano di come il senso uccida il suono.
Ma quello che vogliamo non è dire.
Ed è graziandole d'un fuori posto, fuori tempo, fuori programma, in condizioni impervie e poco intellegibili, che si dona loro il pregio e l'onore di risvegliarsi non più congelate e intorpidite.