domenica 18 dicembre 2011

LO STESSO TEMPO



Abitavamo lo stesso tempo, occupavamo lo stesso spazio, tracciavamo percorsi di fuga, non c'era aria che potesse atterrirci. Volavamo ad altezze diverse, ci incontravamo per errato calcolo, ci stupivamo della nostra presenza. Quelle ali non erano minacce né un periodo nero dell'essere, ma piuttosto il flusso incontrollabile d'una danza collettiva.


martedì 6 dicembre 2011

CARNE MANGIA CARNE



Carne mangia carne, a corto di galateo e di buone maniere, mangiamoci uno dopo l'altro. Scambiamoci un segno di pacifica intesa e poi azzanniamoci meticolosamente.

Si divora quel che resta del macellato presente. Lo si strattona, lo si prende a morsi, lo si sacrifica all'altare dissacrato della tavola sociale. Risolutamente disumani(zzati). E si divora l'immagine, in tutta la sua digitale (in)consistenza.

Sulla scena del crimine, sopraggiunti sempre troppo tardi, si condivide solo la propria accorata muta rabbia. Di noi resta solo un resto triturato e rimasticato per l'occorrenza. Una ricodificazione binaria e postuma delle nostre azioni. 

Sopraggiunge una certa fame. Del prossimo vivente da sacrificare. Non siamo altro che ciò che mangiamo. Pezzi esangui e confezionati, pronti per essere rituffati nel mercato. Fino al morso finale.


Ancora infine omaggiando Novarina, le cose morte che sono le nostre vite scambiamocele in cambio della vita delle cose.  

mercoledì 23 novembre 2011

FUGA



La fuga dall'immagine, dal quadro, dalla storia, fin lì dove più ci si può figurare, senza strade già tracciate da significanti già cristallizzati, lì dove non c'è sintassi, dove non c'è drammaturgia né segnaletica estetica o esistenziale. È forse proprio dove s'avverte una carenza, dove c'è una mancanza che disturba, nell'assottigliarsi dello studium, nel sottrarsi e nel venir meno che si raggiunge quel surplus di senso instancabilmente agognato. Fuga da fermo, di sola mente, nell'immobilismo d'una decisione da prendere, nell'impasse d'una strategia da scegliere in solitudine.

mercoledì 9 novembre 2011

domenica 6 novembre 2011

Apparati di Ri-produzione


Ognuno va per conto suo, per la sua mancata strada. Non c'è coralità, non c'è sacralità.

Apparati diversi governati e presumibilmente tenuti insieme da un governo centrale che ha perso il controllo a furia di decentramenti, delocalizzazioni e federalismi dell'Io. Un governo la cui sede pare variare da persona a persona: il cervello o il cuore o la pancia o i piedi o il cazzo.

Ognuno fa la sua parte? Perché nessuno più fa la sua parte?
Perché è così difficile farsi da parte, dopo aversela data una propria maledetta parte?
Brutte figure senza retorica. Metonimie di membra. La parte per il tutto, per un tutto che non c'è.
Perché non si sa più di cosa si è parte, né quando si parte o da cosa lo si fa.

Inconcepibili. Manchiamo di qualcosa. Sento che mi manca qualcosa. Mi sento mancante. Non completo. Complesso edipico, angoscia di castrazione. La mancanza come molla. La bambina segnata da un complesso di inferiorità.

Mutilati. Evirati della nostra fertilità. Tranciati di netto. Membri mancanti di questa società. Mancanti di socialità. Privati di istinti.

Ri-prodotti. Una copia unica della catena di montaggio umana. Spettacolo riprodotto in tutte le salse e in tutti i formati. Che trucchi usi tu per ripeterti?

L'apparato riproduttivo e le regole dell'attrazione, della repulsione, del rifiuto. Fiutare altrove qualcosa che ti piace di più. Un impossibile penetration test per gli animi, tra la necessità di entrare e quella di accogliere. Sbirciando tra i buchi caduti in rete, I'm not superficial, I like penetration.

Fonte prima e ultima di pulsioni e di tabù. Assillo d'ogni discorso di congreghe ormonali, chiodo fisso e punto estremo di piacere, tenerezza, pudore e intimità. D'animalità. L'origine del mondo è in quest'incastro tra cavità da far combaciare. Ossessione tutta carnale da penetrare e reiterare. Detonatore di relazioni, voracità bestiale e dolce approdo femminile. Tra derive platoniche, pretese angeliche e aberrazioni pornografiche. L'oggetto del desiderio per eccellenza, per eccedenza, fin lì dove appunto per smodata coazione a ripetere è il desiderio stesso a venir meno.

Generati, non creati. E vogliamo ri-generarci e ri-crearci ogni volta. Aspettando sempre l'ora della ri-creazione perché insoddisfatti dello stato attuale. Aspettando il break sempiterno, la salvifica idiozia, la merenda edonistica di cui cibarci per depensare un po' e tralasciare ingurgitandone tutte le turbe più nere e cupe.

L'ora della ricreazione in cui rifarsi. Dei torti subiti dalla fatica del lavoro. L'ora in cui rimodellarsi a immagine e somiglianza delle nostre ben odiate mal trattate intenzioni. Vendicarsi di madre natura ricomponendoci artificialmente a piacimento, supremo delitto della nostra galoppante immaginazione.

[consentimi di venire dentro te, da te, con te]

Tra piacere e godere, diatribe e dicotomie concrete, tra dipendenze e astinenze: testa/corpo; amore/sesso; soggetto/oggetto. Ancora ammutinamenti: chi è tra loro che decide?  

mercoledì 2 novembre 2011

PER (DE) FINIRE



La macchina da presa non è una certezza, è un dubbio. O così era almeno prima di cadere nel totalitarismo dell'idea e della gabbia narrativa.

Un'epopea equivoca e contraffatta. quella del cinema, che da quel groviglio di scienza e di visionarietà dal quale era nato - ricerca sulle immagini in movimento - è finito per farsi servo della necessità d'esser stupiti (e di conseguenza instupiditi) ad ogni costo, sprofondati in quella dimensione cullante di meraviglia, lontani da terrene pre-occupazioni.

Citando Jean Luc Godard, qui ri-preso in omaggio al suo spirito: Non c'è più formato, c'è qualcos'altro. Si parla di alta definizione come se dire Definizione non fosse sufficiente (siamo dalle parti dei paradossi linguistici del genere: severamente vietato - come se dire: è vietato non fosse abbastanza)...Si può per caso parlare di un quadro di Ingres come d'alta definizione e di un quadro di Van Gogh come d'un'opera a bassa risoluzione?!

Per quel che concerne il cinema si è ormai nell'atletismo dell'alta definizione, nel culto della performance. Ancora una volta, ribadendo per rompere le scatole: il senso non emerge vedendo (sentendo) meglio le cose.
La qualità non coincide con la definizione.



lunedì 24 ottobre 2011

VIOLENZA


Nessuna cortesia per rispondere alla violenza. Violenza come quella della vita precaria, quella dei clacson selvaggi e dei parcheggi in doppia fila. Violenta la risposta come violenta è l'ignoranza, la sopraffazione arrogante del potere. Violente le auto blu, violenti i tassi d'interesse, facinorosi i politici tanto prodighi a perpetrare i loro interessi. Violento è Bagnasco che parla di etica con in capo oro e gioielli. Violento è chi si veste di popolo e di libertà e poi lavora non troppo celatamente alla discriminazione del dissenso e della differenza. Violenta è la società dello spettacolo che ci riduce in fazioni bipolari, lì davanti allo scontro come spettatori in grado solo di tifare per l'una o l'altra fazione, senza potere o capacità d'intervento. Violenta la società dei consumi. Violenti gli affitti. Violento un biglietto di cinema a 25 euro. Violenta una birra a 7 euro. Violento un che cazzo vuoi come risposta. Violente le attese. Violente le etichette, violente le estetiche corrotte dal product placement dell'immaginario. 

mercoledì 21 settembre 2011

IN ORIGINE


Seguendo rapidamente e trasognati il grande rovente occhio nella sua sonnecchiante dipartita, con le sue fratture, i suoi cambiamenti di direzione, con il suo ipnotico fluire.

Riconnettendoci o de-connettendoci in tal modo dalla nostra radiosa e utopica - abbagliante poiché mai vista e vissuta - golden age. quel cominciamento che non coincide sempre con l'inizio ha fattezze embrionali, tonalità calde, risorse care al retinico viaggiatore solitario. 


mercoledì 31 agosto 2011

UNA (DI)SCARICA ITALIANA

Ancora terrestramente – ctonia selvaggia pretesa di concretezza corporale - dall'escatologia alla scatologia, senza ritorno, passando per i tavoli d'un pub - Volete un bicchiere?! E prendetevelo in faccia. Volete un assaggio?! E mordetemi pure.
Che ognuno ritorni alla proprie funzioni (corporali). Per un flash mob di merda. Una (di)scarica italiana. Defecazione del pensiero come prima fonte di piacere. Location: Piazza Navona. 
Una cacata collettiva, un atto naturale, un gesto capitale. 
Per un'esperienza multi-sensoriale, lenitiva e taumaturgica. Per un riequilibrio gastro-intestinale del nostro Stato. Umiliazione umile anal-itica. Scendiamo tutti alla stessa bassezza. Compromettiamoci denudati per il bene della nostra forma. Dalle meteore agli alti ipocriti scranni, da Sabrina Ferilli al santo padre da Gasparri a Monica Bellucci, da Tremonti a Scamarcio.
Per una democratizzazione emblematica e socializzante della terapia Roosvelt. Il più eloquente contributo di solidarietà che possiamo offrire. Espulsione degli scarti e riciclo ai fini artistici. Per una unità fecale. Dare di corpo perché non c'è rimasto niente d'altro. Ridondanza del vuoto. Espulsioni interiori. Xenofobia del proprio intestino. Biocarburanti magmatici lasciati in offerta ai poveri d'olfatto. Il solito insolito, ulteriore anomalia d'una terra a cui piace farla sempre fuori dal vaso.

domenica 28 agosto 2011

Posti Precari



Passeggeri precari di questo tragitto digitalmente compromesso, senza posto (a sedere) in questo viaggio alquanto manomesso, flessibili nel piegarsi di ginocchia e di volontà, irriducibili smobilitatori di incerte energie.
Posti precari, non assegnabili, rassegnati a essere di nessuno. Né impiegati né dipendenti né tanto meno liberi professionisti.
Identità precarie sovrapposte sdoppiate e sinestetiche, in cerca di fusione e di moltiplicazione d'orizzonti più che di impieghi.
Siamo assunti e non lo sappiamo. C'è una parte di noi che paga ad insaputa delle nostre tasche.


giovedì 11 agosto 2011


mercoledì 25 maggio 2011

Peggiorare la situazione

Peggiorare la situazione
affrettandone l'entropia per mezzo delle proprie stesse mani
correre ai ripari dal ripararsi
affondare il dito dove il muro è più duro
accarezzarne le crepe
Difendere le cause perse. Perpetrarle.
Sbatterci contro la testa.
Decostruirsi
sgretolarsi
smuovere montagne
Amare follemente
Cadere impenitente


lunedì 23 maggio 2011

Rimasticare A pezzi


Rimasticare teoreticamente i propri stessi pezzi. Ancora a caldo. Superando e incamerando le ossessioni, le simmetrie. la sincronia. la carne in scatola. Bacon. L'oscurità. Con il batticuore e la fronte grondante sudore nervoso. Dal mio buio angolo destro. Cabina di regia senza timone.

Svuotato come reduce d'esame raggiunto dopo lunghissima e faticosa rincorsa, ora superata la cima si scivola giù nel disorientamento di quel che segue la presunta meta.

Un corpo proveniente dal nulla s'ingegna con concretezza ancora analogica – tocca il mondo, prova ad imitarlo, non se ne appropria, non lo manipola – in fuori-uscita d'esplorazione tra quel che gli capita a tiro di sensi. Quell'essere candido e artefatto, nervoso e scolpito di luce, di pezzo in pezzo tocca, sente con narici e orecchie, vede e assaggia, come apprendista viandante senza percorso, piuttosto spinto da bruschi dietrofront, inversioni di marcia, accensioni e spegnimenti di repentina inavvertita vivacità.

Corpo bagnato d'intensità, crollando in fondo, rialzandosi, infine inappagato ritornando dal niente dal quale era venuto. Senza soluzione. Solo un passaggio su questo palco, su questa terra, davanti a noi, esemplificazione e segno del nostro esser transfughi e transitori.

La circondano le immagini, la ostacolano e la completano gli oggetti in scena, incastrata in una macchina scenica come fulcro e punto di rifrazione e di esplosione-sintesi di tutto ciò che la avvolge, di piano in piano (quello visivo, quello sonoro, quel letterario, quello coreografico, etc.) nella complessità irrisolta e debordante, frenetica, tipica d'un congegno fatto di mente e corpo alle prese con l'esperienza del fuori.

Marginalità della marginalità. Incategorizzabilità. Sovrabbondanza d'incompiutezza. Seguire lo spirito o confutarlo?  


Dehors/Audela ringrazia i presenti, gli assenti, i sostenitori, gli incidentati, gli infortunati, gli impegnati, gli squattrinati. Gli elargitori di elogi e di consigli. Quelli che tendono a raccogliere i segnali e quelli che se ne dimenticano. Quelli che apprezzano, quelli che hanno intravisto mondi diversi e corpi alieni. Quelli che avrebbero voluto. Quelli che si commuovono, quelli che depongono a favore e contro. Quelli che son venuti a patti con A pezzi. Quelli a cui è andato di traverso. Quelli che non ne hanno saputo niente.  

  

mercoledì 18 maggio 2011

A PEZZI



A PEZZI
Un manuale di anatomia per le nuove (de)generazioni
Progetto di videoproiezione
e
performance dal vivo

di Salvatore Insana e Elisa Turco Liveri

Voce e performance Elisa Turco Liveri

Elaborazione audio/video e testi Salvatore Insana

Disegno luci Giovanna Bellini

Organizzazione Flavia Passigli

Produzione Atelier Meta-Teatro - Dehors/Audela




È sempre la testa a rompersi per prima. Si stacca dal corpo, non trova più il suo posto. Parte mancante, pezzo vacante, mina vagante, è sempre la testa a spegnersi per ultima.

A PEZZI vorrebbe presentarsi come un manuale di anatomia distorta in cui il corpo, in ogni sua parte, entra in relazione con le specificità del linguaggio video e dell'azione scenica, giungendo in fine ad una irrisolta frammentazione, trasfigurata in chiave metaforica anche attraverso il disegno luminotecnico, la disposizione degli oggetti e del corpo nello spazio, e il già citato ricorso al video e alla lingua parlata.

A PEZZI vorrebbe essere un percorso mirante a contrapporre tutto ciò che è corpo (incontrollabile pulsione sensibile) a tutto ciò che è cervello (misurata razionalità), nel dichiarare una impossibile via d'unione.
Generosità del corpo che si fa e si disfa. Scorporato. E avarizia della mente, altezzosa nella sua separatezza.

18 – 21 maggio 2011
ore 21 e 22.30
ATELIER META-TEATRO
via Natale Del Grande 21, Roma
tel. 065814723
metateatro.blogspot.com

info Dehors/Au dela
340 8578140/ 348 3306492





lunedì 18 aprile 2011

La deriva dei sentimenti

La deriva dei sentimenti, 
continenti ad alto rischio sismico
terremoti emozionali
ad imprevedibilità sovrana

Placche tettoniche di rilevante perturbabilità
instabili fragorose eccezionali violente e inaspettate
come quel che si muove dentro le viscere terrestri.

Zolle vaganti nel gran mare del degenere umano
pronte a scontrarsi contrite e rugose
l'un contro l'altra
l'altra contro nessuno


lunedì 11 aprile 2011

Pietanze


Mancanza di feed back
carenza di nutrimenti
troppe isole e niente fianchi
fame di rimbalzi
astinenza da contatto
[quel che dai non torna]
commiato da queste terre
da ogni luogo
dove si amministra la distanza

Non si mangia
se non
mangiandoci l'un l'altro

lunedì 28 febbraio 2011

Uomini a barre


Uomini a barre e senza codice. Uomini con i pattini in mano in procinto di ribaltare la re-visione delle cose. Uomini con le cuffie agli occhi appartati dalla socialità e in fuga. Uomini con trapani elettrici di quelli capaci di bucare il cielo. Uomini col cuore in tasca, accessorio rottamabile in cerca di cestino. Uomini con torte in faccia. Ognuno ha il suo dolce che merita. Uomini con fiori in bocca alla fermata di Trastevere. Uomini con il cappio al collo al capolinea del percorso.

Uomini e donne al centro senza scena. Con le buste in testa. Senza spesa, lì si raccoglie ormai tutta la melma.

Donne con i tacchi nelle orecchie. Make up per umili spose non egocentriche. Donne con le borsette come coda, da lì si semina il fascino profumato d'una scia di carne. Donne con segnali di fumo, di quelli da mandare in sciopero qualunque diligenza. Donne con le labbra in pancia e l'ombelico sulla fronte, lì dove si radunano i residui impossibili di tenerezza umana. Donne dai cuori obliterati a tempo con i biglietti in guancia alla fermata di Trastevere.


Alieni che osservano tutto sbigottiti, solidarizzando con il Sam dai sensi intorpiditi del mattino e promettendo che al prossimo viaggio porteranno anche lui lontano da qui.


lunedì 21 febbraio 2011

Frontiere


Dove non ci sono le frontiere, spesso s'innalzano i muri, che sono il contrario della frontiera.

Il muro, infatti, nasconde l'altro, mentre la frontiera lo riconosce.

Régis Debray



Adesso che abbiamo occhi per vedere quello che non esiste, ci rendiamo conto che alle frontiere non ci sono più insegne identificative, di quelle che imbavagliano il percorso indicandoci pretenziosamente il cammino.

L'utopia inafferrabile è nel varcare la soglia, superare le frontiere, superarsi per finire in un territorio non insediato da un immaginario prestabilito (pre-avvilito), ovvero lì dove non si possa più sapere da dove si viene e da dove si va, e il territorio sia occupato solo dal proprio corpo. Lì dove i segnali non possono più dirci niente.

Non si sa dopo quale passo inizi l'aldilà del percorso consentito. Arrivi di fronte all'orizzonte, pensi che l'attraversamento e lo scavalcamento di campo siano ancora ciò che rende clandestina, ardita e inaccettabile la tua volontà.

Sulla via del mistero, del più contrito e timoroso “sai quel che lasci, non sai quel che trovi”, le direzioni vengono meno, nessuno che ci impartisca tappe di riconoscimento forzato, vie crucis identificative, visti d'ingresso, permessi di soggiorno, carte d'imbarco, vie d'uscita o di fuga.

Non un ostacolo, ma una risorsa, accorrono le frontiere della visione, spazi liminari senza indicazioni valide per riuscire ad andare al di là del passo che stai compiendo. Valichi da sormontare con gli occhi, nei pressi di quei celebri spazi in-terminati al di là da quella.

Non accettando i confini, dunque, farsi sfrontati. Evocare ogni passaggio possibile. Irriverenti. Imprevedibili. Imprendibili. Inafferrabili. Invisibili.


mercoledì 9 febbraio 2011

Sovr-Impression


Parzialmente rasato così come affamato, così come stremato. Certamente dissennato. Cadavere squisito della mia (di)s-carica ragione. Fuggiti via quei balzi in piedi stracolmi d'entusiasmo, restano interminabili raffiche e il ricominciar canceroso. Furti d'autore e puzzle di vicende disorientanti. Di troppa lucidità s'annega. Trovare una configurazione adatta prima d'andare in avaria.


Pa(r)tire allora con un altro di questi resoconti poco oggettivi, d'un diluvio dolce e incantato inaugurato dal Cortazar manoscritto trovato in una tasca, incroci labirintici, speranze disperate della coincidenza co-incisione delle linee. Un incidente quello dell'incidere con il caso. I migliori appuntamenti sono quelli che non ci si dà. Vederla prendere la sua direzione e non poterla seguire.


Incrociare le braccia o gli sguardi. Le dita. Rotture e regole del gioco. Del giogo piuttosto. Di come cadere in trappola da soli e poi uscirne fuori insieme. Non facendo altro che cercarsi. Per perdersi meglio. Approfonditamente. A sprofondata mente. Non possiamo separarci così prima d'esserci incontrati. Scenderai da lassù quando vagheremo nel fondo del pozzo?


Il suo sorriso le aveva fatto male, voleva seguirla fino alla fine di questi giorni, di questa vita e oltre. Fino all'ultimo e altrove. Tra quegli spazi antonioniani rarefatti mistici desertici di Zabriskie Point, prima della celebre ipnotica deflagrazione finale, lì dove i corpi si amavano perché ultimi esemplari d'una faccenda ormai estinta, quella dello stringersi la mano senza pensare al futuro, quella dell'abbracciarsi al presente.


Le trasgressioni sono l'anima delle digressioni e viceversa, mentre risolutamente, liberatoriamente e con nonchalance, l'esserci e i discorsi a questi intorno rompono solo i coglioni.


Tra coincidenze di treni e di vite, di trascorsi, di percorsi, di intuizioni, di sventure, di ragguagli, di slanci, di rimpianti, di stenti di esaltazioni, di eclatanti meraviglie, di discese infernali e crolli verticali, di attrazioni, di fatiche, di corrispondenze, di pezzi, di constatazioni, di rilanci, di trasformazioni, menomazioni, crolli ancora, fraintendimenti e complimenti, appuntamenti e sparizioni. Competizioni partecipazioni incitamenti abbracci offerte aiuti prudenze gentilezze compagnie inizi indizi scoperte visioni parole simbiosi parabole percorsi. Con il traguardo altrove. Una coincidenza o l'uscita.


E in più cosmicomica guest star dai valori alterati, uova marce del presente trasfigurate in chiave fanta-trash. Per la messa in scena delle incongruenze lassative. Qualunque cosa va male, quindi tutto a posto.


In tempi di patologie latenti, delusioni cocenti, feedback latitanti, conoscenze approssimative e riconoscimenti postumi, cercasi levità di desiderio, ingenuità di vivere. Dismisura della parola. Perdere il filo del discorso. Scostarsi dalla linea maestra. Non potersi più dire ammaestrati. Andando troppo oltre o non ancora abbastanza. Non in linea, non in bilancia, non in equilibrio. Mancanti dell'inafferrabile. Insoddisfatti del presente. Transdisciplinari quanto indisciplinati.


Sovr-impressions. Gli strati che si accumulano, gli stati che si accomunano e si sedimentano. E trattenere sempre, trattenersi mai. Mai dire sempre, mai dire mai.


Manoscritto trovato in un anfratto di cuore della notte, scritto fibrillando, palpitazione una dopo l'altra. Per sognatori generosi, ammaccati e indomiti, di quelli con i piedi per aria, con la testa nella sabbia, con il cuore in gola, con i pugni in tasca, di quelli che preferiscono rassegnare le dimissioni da questa logica e da questa vita piuttosto che rassegnarsi, piuttosto che riassegnarsi.


Là ove ella mi scorse, Petrarca gioca in corner allo scadere. Calcia con eleganza e conduce lontano.


Di miraggi tramonti tuffi colazioni, di felini buffi, di scatti vitali, di smorfie e spiagge e iridi altrimenti colorati, di momenti magici e pozioni fragili, di banchine sorprese fermate scale

piani alti ventilatori.

Di tesi inutili e malintesi gentili. Di rapimenti odori onori gratitudine. Di mostre di coraggio e di lacrime.

Di corse a perdifiato voli mentali, spalle solidali, sonni tranquilli e prudenze di ritorno.

Di estemporaneità e tenerezze. Di improvvisazioni di improvvise luminose sensazioni.

Di tutto ciò che non ha parole.

Vasi comunicanti e piacevoli equivoci. Se non ora quando.


Combinazioni, riflessi. Accadimenti. Cadute. Ma cosa abbiamo combinato per non sfiorarci nemmeno più?


Tra scorte di scarti, scarti di scorie. Scorato dalla cerimonia martirologica del ri-ferirsi, eppur sollevato d'esserci in questo convoglio. Prima di salire qui in quale deserto mi trovavo?


Non c'è nessuno da queste parti. Dalle mie di parti si viaggia in formazione rimaneggiata. Con l'informazione manipolata. Ora comunico prima me se anche fosse possibile dirci qualcosa, così perturbati, agili a cadere, con l'horror vacui dello starsene con le mani in mano.


La pasta passa e il vino resta: Quartucci e Leo nel '65 facevano la fame, e non era uno spettacolo.


E ora salire in una delle pre-stazioni possibili. Poiché potrebbe non esser dato seguito.


sabato 5 febbraio 2011

La Ri-cognizione del dolore



Non si sta molto comodi nell'esilio forzato della volontà. Si respira appena, si avanza sotto mentite spoglie e, qual pena, fa male il cuore soprattutto. Dormivo in una fossa stanotte, mi rigiravo di continuo per trovare la mia condizione per peristalsi intestinale del masticato e triturato tempo che ci precede. Indigesto oppure ben assimilato. Deglutito a fatica. Singhiozzando o emettendo imprecisate peripezie giugulari.. La mia cognizione. I geniacci e gli angeli si fanno male facilmente. Tra fuochi d'artificio della memoria e un vomitar sospinto e ripetuto delle tossine in esubero, fuggendo il dolo del sentenziare postumo.


Pance torcicollo futuristi scoppi centenarie non paganti che soggiornavano e sogghignavano dormendo su meta-sedia. Articolazioni tormentoni iniziazioni munizioni operazioni padroni coglioni.


Certe visioni scortate da abbagli, scartate come caramelle da lasciar sciogliere a lungo sul palato prima che ti conducano a inediti risvolti, quelli di cui si rivolta dalla tomba del reale.


E come si fa a far finta d'esser sani a oltranza con un (cog)nomen omen di tale portata sulle spalle?


Parolaio parzialmente abile e quanto mai vano, sotto scacco d'una palla al piede che coincide con sé stesso. [come se fosse una cosa semplice vanificarsi ad ogni tentativo, passando da carneficine sentimentali a pantani dell'oggi desaparesido]


Diranno: evadeva dalla libertà su cauzione, pagava di testa propria le intemperanze di questa terra intera. Lo aiutavano in molti ad usar in tal definitiva maniera il proprio capo, lo stuzzicavano, gli spillavano idee dal cervello, lo prosciugavano, gli facevano un lavaggio ogni tanto.


Diranno: pagava con tasca vuota per essere felice. Lo faceva per non consumarsi anch'egli in pellegrinaggio danaroso in tempo di sconti e nel ricambio d'armadio e di stagione e di plotone. Non aveva nemmeno tempo per ricordarsi il proprio nome, ma era quello che voleva. Non finirò mai di rivedermi. Non mi riconoscerò mai. Non riconoscerò mai a me stesso di non esserci stato quando era l'occasione l'ingiusta fonte di piacere.


Ri-cognizione è l'azione effettuata oltre la linea del fronte per acquisire informazioni militari relative al nemico. [Ma qui il fronte è interno e il nemico non di meno]

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Visto l'andazzo, in tempi in cui ancora lo spettro del vate terrorizza i polli, l'approdo di demenza non sarebbe poi male. In questo merdaio in cui ci troviamo per rinsavire non bisogna badare agli indici di gradimento.


Dove ci troviamo dunque se non a mostrare e mostrarci come stimmate ancora le insufficienze di questa condizione, con le nostre povere parole, i nostri minimi occhi con i mezzi e gli intermezzi a nostra disposizione. A nostra deposizione. Deporranno prima o poi loro gli artigli e le armi, ci lasceranno fare nel carnevale del potere la parte del matto o quella del dotto. Dottori ci chiameranno del più abusato corporale nostro condotto. Apriti tu che il cielo non c'è più. L'ebbrezza sarà quella di fare i conti e di lasciarli aperti. Spalancati ad ogni evenienza, poiché resterà indeterminato chi conta e chi è soltanto contato. Più facile prevedere colui che, scontato, contatterà i gendarmi e metterà tutti in allarmi, sull'attenti, cittadini non aprite più i vostri battenti, anzi stringete e digrignate i denti, dimostratevi vincenti, allontanate questi poco dignitosi artistoidi malviventi.


Ed eccoci. Rieccoci. Avvertiti e ricchi d'eco. Sempre e ancora tanto riconoscenti quanto irriconoscibili al variare dei campi di gravitazione, all'infrangersi delle regole dell'attrazione, in comunione alcolica, per quell'attimo di delizia che precede strazi e stragi, strani casi e morti passaggi.


Ognuno ha le sue triste buone o cattive ragioni. Almeno tu nell'universo. Nel mio verso. No, nemmeno tu.


Vedo che ora siete affaticati, così tanto ai deliri impreparati. Così a lungo non riesco a seguirmi neanch'io.


Se il mondo gira perché non dovrebbe cambiare? Torneranno i feroci invalidi dai mari caldi e nell'extrema communio d'una messe mostruosa diranno che questo B noi ce lo meritiamo, come chi per desiderare la merda ha sacrificato la carne e il sangue.



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martedì 1 febbraio 2011

Touch it!



Agli antipodi dell'esigenza pornografica del veder tutto, nei dettagli, chiaramente, con ginecologica esattezza, anche le forme più prestanti e definite vengono meno ai loro contorni, dilatate e deformate, fuggono verso un astratto che, nella vaghezza della mancata definizione, ne glorifica l'esistenza al di là del farsi semplice oggetto penetrante/penetrato.
Una proposta per una ecologia del corpo, contrappuntata dalla nostra perduta abilità di guardare e cercare oltre la carnale meccanica superficie.
Maneggiare con passione, con tenerezza, con cura.

venerdì 28 gennaio 2011

Per farla infinita

Per farla infinita, la vita o la merda. La storia o la lotta.


La malattia della scrittura ti coglie impreparato, ti fa correre lì sulla pagina bianca prima che il commiato del tuo pensiero ostruisca le vie del ricordo e trascolori tutto in un vagheggiato entusiasmo già smarrito. Ti manderà una cartolina nella notte il tuo cervello con quello che avevi formulato e che la giornata ha sbiancato.


Brezza marina qui nel covo candido del lunedi, partendo dai punti in-fermi d'un mondo sempre più immondo, tra le turbe intestinali e la stitichezza espressiva del XXI secolo. Com'è triste la carne, eppure è tutto ciò che cerchiamo.


Scrivere scopare viaggiare secondo Bolano in punto di morte conferenziere in volo sui poeti francesi. Banditi del senso. Banditi dal senso. Inattingibili. Ogni volta diversi.


L'Italia va a puttane, si sa, e noi ci accasciamo lentamente nella fatica mal vista d'accorgercene. Le sante le più bunga bungabili, misere le cortigiane di palazzo, in cerca di opportuna sistemazione e collaborazioniste non meno d'altre già giustiziate a loro tempo. I criminali senza fascino né pretese.

E poi ora per noi in coro Lele Mora prega per noi, meno male che Lula c'è estradate Berlusconi se volete Battisti in cambio.


È Dioniso a vincere in quest'aria fetida da basso impero? O è ancora – ritrovando l'Attali di Bruits – una quaresima camuffata da carnevale? Una rigorosa farsa atta semplicemente all'omeostasi del potere declinante? Apollo è malato, sformato, sfrondato, tra cattive abitudini quasi sempre appagate, ma in questa impenitente isola dei trionfi bacchici manca il rimescolamento, manca l'eversione, il ribaltamento dei ruoli. Restiamo sottostanti, inculabili, appesi e riverenti alle voglie o al parere di s'arroga di contare, di chi ancora è di identità (a che cosa?) che si riempe le tasche.


Gaudeamus igitur eppure parfois j'amerai mourir pour ne plus rien savoir.


E la stanchezza arriva perché una corsa a ostacoli ha coinvolto i miei alter ego prima di raggiunger il MetaTeatro stanotte...dai miei trecento passi in estrema pendente salita, da un treno che non arriva più causa neve viterbese ad un 907 del cui percorso è carica la mia memoria d'abitante di MonteMario da quella Piazza Igea, il bar con il piacente Barbone, la fermata davanti la farmacia e poi le scale per arrivare alla metro Cipro dove una volta quasi mi ruppi una caviglia e no non c'è tempo per far entrare prima che io esca dal convoglio e se le do una spallata è perché non esiste più delicatezza e se mi rispondi Madonna io ti dico Porca e procedo avanti, proprio fino a San Pietro aspettando un 23 che non passa, le mani in tasca il freddo in testa il ritardo incalza la pancia scalpita. Quindi quasi di corsa colpendo a tacchi il suolo, perforando la città tagliando via della Conciliazione e ripescando il 23 all'inizio del lungotevere con in groppa gli stessi volti che prendevano freddo in mia compagnia minuti prima...


E prima di scampanellare solo una crocchetta da mangiare. E come fa quella a star in mini-pants e infradito proprio oggi quando il sale sui campi è lì a testimoniare gli zero gradi??


E ripartendo allora da dove avevamo iniziato,


Scrivere prima che vengano a prenderti per aver fatto troppo chiasso, per aver voluto troppo, per esserti divertito troppo poco, per aver scosso troppi alberi delle certezze, per aver diffamato troppi monumenti, per aver dissacrato troppe cerimonie.

Scrivere prima che vengano a prenderti per non esser riuscito a (r)esistere, moroso e ipotecato in questo ostico condominio sociale. Povera arte in arte povera.

Scrivere prima che si spenga la luce, la lucerna che come spia ti permette di accedere altrove .

Scrivere prima che vengano a prenderti per esserti permesso di scrivere. Dall'ispirazione alla cospirazione.


Tarantiniane sproloquianti Iene a introdurre l'irriverente canovaccio pseudo-liturgico, nella blasfemia canzonatoria d'ogni comunione o comunicazione possibile. Con Artaud esserci per cacare tra le metastasi del linguaggio. Malato, corrotto, corroso, in punto di morte.


Così dis-organizzati come siamo eppure o ancora provvisti di quegli organi capaci di soddisfare le nostre malfunzioni vitali. Condotto (o condotta?) anale dunque. Ancora dall'escatologia alla scatologia, dal destino ultimo ai terminali resti, tra le fogne pronti a tuffarci. De cesso.


Ed invece per farla finita col giudizio di altissimi e nani, non riconciliati tagliare ancora le redini e le radici. Smascherarsi: scrivere, scopare, viaggiare, morire. E poi ricominciare.


Un inferno, un inverno, un infermo. Non si arriva da nessuna parte. Solo qualche illuminazione ogni tanto. Rarissima e adamantina come quell'anima stanca eppure di superiore inafferrabile incanto che ora vigila sul lampeggiamento verde nei pressi dell'ingresso.


E per San Giovanni ora l'87. Per casa mia i piedi soli. Per le prossime Impressions una settimana ancora.

venerdì 21 gennaio 2011

Un Bene Di Marca

Difficoltà di comprensione enfatizzate e sclerotizzate, al di là della scrittura lineare. Con non osservanza, ancora con tutto l'irrispetto dovuto.

Non si sente bene, come il mondo di questi tempi. Non si sente Bene, altrimenti non si sarebbe ancora appesi all'omologazione sovvenzionata e la rappresentazione si sarebbe ormai estinta. Non si vede bene, come il futuro di questi tempi. Non si vede Bene, si delirerebbe risoluti e feroci e disperati e dissennati un po' di più altrimenti.

Frammento estratto a caldo dalla prima delle Di Marchiane metateatrali impression d'afreak, ripescando la contemporaneità d'un urlo di vent'anni prima, un attentato alle ricerche teatrali...definitivamente sbalordito...scontato che da oltre due secoli la rappresentazione è qualsiasi compromesso per sopravvivere...Se creatività omologata è applicazione orale su testo teatrale scritto, è ribadita l'ignoranza sconcia secondo cui è sulla drammaturgia come testo teatrale che deve esercitarsi la creatività.


martedì 18 gennaio 2011

Free as a Freak


Pippo Di marca, uno di quei liquori alcolici di cui c'è sempre più astinenza, offrimi un po' della tua euforia da lassù dei tuoi trascorsi dei tuo percorsi dei tuo soccorsi. Dacci la tua anarchica linfa quotidiana, microfonato d'errori e d'intralci. Claudicante cerimoniale laico del lunedì di chiusura o d'apertura di nuovo corso.

Lautremont sul trono impacchettato alla Christo nel foyer imbiancato quasi illuminato di bianco più bianco che candido, battello ebbro dalle dinamiche imprecisate con sedie che seguono la corrente dello spettacolo e si girano con i colli e i tacchi da un lato all'altro, non un maremoto ma una piccola scossa, un'onda di sfogo elegante alle miserie sovvenzionate attuali.

Anticamera di un urlo spericolato, avanspettacolo di teste indomite, one man show a passo lento ma non attardato. Maldoror bello come l'incertezza dei movimenti muscolari nelle pieghe delle parti molli della regione cervicale posteriore e tu sei lì davanti a me e io vorrei baciarti dolcemente sul collo. E Michele spegni! buio e silenzio per il rito dopo Foxy Lady hendrixiana e la discesa dall'alto del divino reduce con scarpe da tennis e smoking e capo coperto di verde e spessissime lenti così come l'ingegno.

Qui si vola altrove e deragliatamente fuori dalla trama del raccontino prescritto, si omaggia Carmelo nel suo ritorcersi con tutta la mancanza di riverenza possibile al fu ministero di spettacolame di inizio novanta già clamorosamente cieco nei confronti di chi artifica e non mummifica. Si ritorna all'avanguardia, si rintraccia sulla scala la scaletta, si finisce con guest star poco abbottonata e molto attenta nel cesso risicato e lucido della nostra (de)generazione precarizzata dalle nostre incertezze ben più che dai nostri stenti. Baudelairizzandoci solo in parte poiché non in grado di finir sfiniti e fuori da noi perché ancora anche domani bisogna forse un po' studiare un po' lavorare un po' mangiare un po' viaggiare.

Esplosioni lirico-demenziali con trattato sugli stronzi in espansione della nostra rovinosa classe politica attuale e delle dis-cariche di cui si autoincensano. Quelli che si colgono a naso più che a occhio. Puzzano da lontano o d'improvviso. Da un Daniele voltagabbana alla sua omonima feroce. Rappresentanti e dei figli di puttana. E delle troie soprattutto e innominate. Ferite e feritoie esplorate e non più esplorabili. Voglia di rompere. Impressioni illuminate. Mostri esoterici. D'altri mondi che non questo derubricato a intrattenimento per polli d'allevamento e omologati alla finta trasgressione con brand. Dimostranti un altro modo di disconnetterci dal presente, afferrandolo per il collo e bastonandolo per quel coacervo di contraddizioni anomale in cui più o meno con brio siamo invischiati.

I soldi son un equivoco, sono sott'acqua come quelli del drugo Lebowskiano. Andate senza pace, seminate i vostri passi con tutta la scorrettezza che ci vuole. E tornate la settimana prossima.

lunedì 10 gennaio 2011

A pezzi (sempre più numerosi)


A pezzi perché non proprio in forma. Non rientrante in nessuna forma precisa. Piuttosto deforme (come sformare il corpo umano se non facendolo sfiancare?)

A pezzi perché esausti, esauriti, in crisi cronica, caos e agonia del non farcela più, crollati sotto il peso della città, del mondo, degli anni, del nostro universo interiore e interpersonale.

A pezzi perché frammentati, a compartimenti stagni in ognuno dei quali ristagna nostalgica e affannata la nostalgia di una unità (impossibile?)

A pezzi poiché attratti da forze centrifughe (tutti a tirarci in lungo e in largo lontano dal nostro centro), multitasking e malati di zapping così come la società dei media che ci ha plasmato e corroso.

A pezzi perché la testa non corrisponde alle azioni del corpo (tra il dire e il fare c'è di mezzo il corpo!) e viceversa, poiché il corpo non sa proseguire il percorso avviato lassù in cima..

A pezzi poiché separati, mancanti di collaborazione, di sinergia, di armonia, tra le parti. (concerto e coreografia di membra de-connesse – troppe volte visto?)

A pezzi perché caduti rovinosamente dall'alto dei nostri sogni o dei nostri piedistalli.

A pezzi poiché incapaci di guardarci nella nostra totalità, da una certa distanza. Dal di dentro qualche dettaglio di quelli più fondamentali e preziosi resta sempre fuori.

A pezzi perché divisi, dis-uniti, mancanti di comunicazione/connessione tra le parti e il tutto, costruiti da segmenti diversi, mutilati nella volontà, dis-integrati nel (dal) corpo sociale e personale.

A pezzi perché diamo/riceviamo solo porzioni limitate, fette contingentate di noi. Un corpo da ripartire. Da far ripartire.

A pezzi perché, in via cieca di specializzazione, impariamo ad usare benissimo una parte di noi dimenticandoci o perdendo la funzionalità del resto.

A pezzi perché prima o poi, per disattenzione, per stanchezza o sfiancamento, per ineluttabilità autoimposta, si fa scivolare l'incantesimo, lo si fa cadere, lo si rompe così come lo si fa con la testa di una bambola.

A pezzi perché di quel che c'era all'inizio della vita o dello spettacolo alla fine restano solo i resti, i cocci.

A pezzi perché incapaci di costruirsi, dispersi come si è in una corrente ben poco edificabile, dotati come si è di un sottosuolo psico-fisico tutt'altro che edificante.

A pezzi perché dis-eguali nel farsi, incompiutezza di video e di corpo in scena, di documenti e oggetti, foto, diapositive, parole, musica, elettricità, luce e silenzio.

E soprattutto e ancora, per non finire, senza pezzi di ricambio. Non ricambiati.