Il miglior numero civico
degli ultimi anni ha traslocato per permettersi più decibel e corpi.
Qui si soffoca di festa sottoterra tanto quanto a cielo aperto. Riflusso di in-conscenza spunteggiaturato. Ci si
strattona forzatamente nel limbo del post-scontrino - dannati
dell'abbeveraggio notturno – e il bancone è un lido lontano. Buon
nasale mi augura il chitarrista che festeggia il decimo anniversari
del suo post-it dal pedigrin. Poi lei forse la conoscevo ma senza
nome o con qualcuno di troppo in mezzo per capirlo appieno. Veniva di
ritorno da un'altra città e di certo un'altra vita s-passata ora
sarebbe un segno d'imbarazzo il salutarci e poi basta nient'altro da
poter dirci perché non ci ricordiamo chi siamo (stati) fino ad oggi
e chi dicevamo d'essere quel tempo là. Oh, sussurrano da dentro, ma
dove sono le donne dei bei tempismi andati?! Equipaggiati per il bel
maltempo che fu, si sta accaldati e svestiti vista la primavera
natalizia campi gialli in fiore e sedie sdraio su in terrazza.
Sgomitando s'accostano le guance si tamponano i bicchieri non c'è
tempo nemmeno per un resoconto poiché la folla spinge e ti porta via
mentre tenti di fermar il passo. Pensa che svolta un ascensore
orizzontale trasportatore di corpi schiaccia-ostacoli tapis roulant
per criceti con barba tacchi e capelli. A lui vorrei parlar
dell'album del video la promozione come si fa a far cantare gli
specchi e farli piangere? A lei vorrei chieder come mai abbia scelto
di stringerle la mano per un secondo in più. Chi adesso ha più
capelli grigi alzi la mano, con lui chi pensa d'aver superato il
limite di velocità del pensiero. Lo sguardo rapace di chi, abbandonato ogni legame istituzionalizzato, ora si butta nella mischia, cerca prede senz'annuncio. Chi chiude prima i conti con se stesso per poter esserci. Prospettive di gioia urlanti
sull'uscio. Gli impacchettati d'abiti sono pregati di restar lontani
dalla calca, dalla carica di nuove generazioni quelle che non si
spogliano perché son già nude quelle che non si accaldano perché
non si emozionano. Riccioli dispersi appena dopo l'abbraccio inaugurale. Volevo fargli gli auguri ma troppagente l'ha negato. Poi la banconista gioiosa con scaldacollo a
stringer la chioma incolta fugge altrove d'un entusiasmo repentino e
dimenticante della compagnia, mentre Fed adesso fa il baby-sitter
fino al prossimo parto. Fai bei sogni si legge a occhi chiusi. Poi
rincarare la dose solo di sbadigli. Un principio d'abbandono. Un luogo non vale un altro. Qui,
nella comodità della rimpatriata, c'è anche il tempo di pensare a
quel che scrivere e a tra-de-scriver quel che si è dis-pensato. Il
campo di battaglia è il fortino della lingua, piena di aculei la sua
corazza, pieno di buchi la sua maglia dissennata. Sono solo
istantanee ribelli alla concatenazione significante. Istanti
consegnati all'impossibile banco segni-pegni del tribunale alcolemico
di fine anno. E ancora, se mi ricordo tutte queste cose forse non
c'ero.
venerdì 28 dicembre 2012
domenica 7 ottobre 2012
ERRORISTA
Essere un errorista, terrorizzare il giudizio, disinnescare la strategia, eludere la previdenza
Teorizzare l'errore, farne il miglior cattivo uso quando occorre, della sua potenzialità incendiaria premunirsene per ogni valicamento semantico.
Ci si cade dentro, in questo occorrente necessario della distorsione si fa esperienza dello scarto dall'ovvio della norma.
Errare in oltre e oltretutto, in tutta la polisemia dell'essere (venuto meno alla prudenza)
venerdì 28 settembre 2012
IL SUO POSTO
Il suo posto nel mondo
giocatore espulso
squalificato
in esilio psico-fisico
non arruolabile
Il suo posto senza mondo
essere in fuori gioco
oltre la passione
oltre la passione
in fase di stallo
riserva mentale
riserva mentale
Ricordando MGrande, l'acquisto di
piacere scaturisce dalla contravvenzione alla regola, e finanche dal
disconoscimento della “costanza del reale” che garantisce la
permanenza delle regole.
mercoledì 26 settembre 2012
L'ASSETTO ANTI-SOMMOSSA
Un tentativo di
decapitazione simbolica.
La caduta del potere: un
esempio concreto. Chi colpisce verrà colpito. (dalle macchinazioni
del tempo, se non da quelle improbabili del destino). Al limite dello
spettacolo della rivolta massmedializzata seppur rabbiosa, tra flash
partecipaci e bollori civili che surriscaldano la pace, il simbolo
dell'asservimento (conscio o insconscio, per spirito patriottico o
per necessità di sopravvivente tasca piena) a quel potere che ci
condanna a dichiarazioni di debiti è preso di mira, abbattuto,
umiliato in tutta la sua uniforme solitudine.
L'assetto anti-sommossa
dell'anima conduce solo ad un appiattimento del vivere su miseri
canali eterodiretti.
Non corrompete ancora i
sorrisi dei bambini con i sotterfugi ipocriti di quell'imbellettato
porcile che recita il ruolo di nostro rappresentante.
lunedì 17 settembre 2012
RIEMPIRE LO SPAZIO
Riempire lo spazio attraverso il vuoto o per mezzo di quei promessi cadaveri umani in lotta per stare a galla in quel bianco magma solitamente noto come inconscio. Annerire la casella alla quale destini la tua risposta.
domenica 9 settembre 2012
CI LANCEREMO
Fotograferemo il nostro mare
lo stamperemo in formato gigante
lo appenderemo al muro
Sarà allora arrivato il momento di
tuffarci
ci lanceremo ad occhi chiusi contro il
muro
troveremo l'acqua rompendoci il cranio
troveremo la libertà
sabato 21 luglio 2012
UN'OASI
Rarità
d'uno spazio non disponibile all'acquisto del miglior offerente, oasi
di pace non commerciabile, riscossa imprevista dal parassitismo
mentale del profitto e dell'utilità. Useranno lo scudo, sì o no?
venerdì 20 luglio 2012
CORTOCIRCUITO
Quando la vita prende il sopravvento
sul discorso che su di lei ci si attarda a fare e rifare, si chiude per deliberata nulla resistenza al percorso già tracciato. Si svia dalle consegne. Da latore del messaggio della propria esistenza si diventa datore della stessa. Senza lavoro. Solo per erosione dei margini, dei confini, dei sensi, dei fini. Non ci si (im)pongono più dei vincoli, la corrente ci trapassa, ogni standard è spacciato.
martedì 27 marzo 2012
BERGONZONI, PAROLAIO, DIVAGATTORE
Bergonzoni, parolaio divagattore. Un
omaggio a chi mi ha preceduto. E non ha ancora ceduto. Una revisione,
un riascolto interiore a caldo. Una pioggia di lemmi.
Trascrizione mentale con
revisione autoriale o viceversa. Senza requie. Un canale aperto con
le proprie paure. Andando di getto in rigetto. Gettandomi nella
mischia. Infilandomi e poi mischiandomi agli ap-plaudenti. Differenze
e similitudini tra un applauso funerario e questo che si ripete qui
ad ogni coincidenza tra quel che sul palco si dice e quel che noi
vorremmo fosse detto. Trovare dunque altri modi di scuotere uno
sull'altro quei nostri arti superiori. Mancarne il clap. Stritolare
la leggerezza dello spettacolo. E anche la presunta leggiadrezza di
chi ha il passo degli elefanti. Divergere. Allungarsi. Slogarsi se
possibile. Azionare senza remore il detonatore interiore. Partire da
dentro. Patire quei congegni macchinici che fanno di te un corpo
funzionante. Esplodere il prima (im)possibile. Non ridurci più sotto
para-statale dettatura. Non indurci più in mancate tentazioni.
Tentacolari nella nostra sete, non accorciamo la via cercando
scorciatoie. Non riduciamoci deteriormente al già crocifisso
rappresentare. Non abbreviamoci al divertire. Andare dove non ci
vogliono. Di qui passa il Rezza del più il contenitore è sbagliato
più è giusto esserci. Evadere dalle strettoie del linguaggio.
Dimenticare il non posso. Sregolare le misure. Rendersi irregolari.
Non pretendere. Piuttosto tendere. Ed esigere d'andar un po' più in
su o in giù del/dal palco. Anche grazie ad esso. Scaliamo vette
mentali. Non scaldiamo le poltrone. Non scadiamo nel repertorio.
Cadiamo meglio ai nostri piedi. Sveniamoci incontro. Sorprendiamo noi
stessi a parlare d'altro. Scoperchiamo i serbatoi energetici che
covano in potenza al germinare di certe azioni
simboliche/dimostrative. Occupiamo i posti occupati. Disoccupiamoci
dei nostri bisogni. Oltre le cose che ci ri-guardano, riscoprire e
non ricoprire la parola delle sozzure e delle sovrastrutture.
Ritornare dove non si è mai stati: all'etimologia del nostro
sproloquiare. Una violenza bella e buona. Una violenza bella è
buona.
Non cercare parole chiave
ma sfondare porte. Prendersi alla lettera. Prendere alla lettera
tutto quello che può darti. Per farla finita con le frasi compiute:
le capisco troppo bene e non mi basta. Accogliere la potenza lirica,
liberare i versi segregati dai/nei loro incunaboli. La sua
infinitamente potenziale drammaturgia espansa. Sfoderare le armi le
più contundenti. Armarsi fino ai denti. Armare il nostro intelletto
una buona volta. Amarlo più della carne. Così da volteggiare sopra
le teste degli incravattati e delle imbellettate. Ricordarsi di
Artaud, di Cocteau, Rimbaud, Totò. Farli patire dal ridere. La
crudeltà della morte a lavoro del contrabbandiere in fuga dalla
fame. Per farla finita con la parodia ammiccante. Con l'altra faccia
della stessa medaglia. Ritrovare energia dilagando. Andando oltre il
seminato. Risolutamente, non essere utili. Ancora una volta, e
sarebbe una svolta, non servire. Non fare teatro con il teatro.
Deragliare. Ammaccarsi di vita non prevista. Andare dove non ci
cercano. Inaccettabili perché non accomodabili. Non accettare più
gli speciali televisivi su quello che dovrebbe/potrebbe essere
l'ordinario. Non lasciar più correre. Essere intransigenti.
Ritornare sui propri passi mancati. Di cosa ti occupi (oltre che
dell'anima, dello spirito, dell'immateriale)? Di cosa ti preoccupi
(oltre che delle tasche, dello stomaco, della casa)? Sei troppo
vicino alla cassa, da morto, di spesa o d'amplificazione? Sei troppo
vicino al presente. Espatriare dal campo semantico. Senza un capo che
ti orienti. Fedine penali e cartelle cliniche: la di-gestione del
potere è un problema de-generazionale. Non insegnate ai bambini o
forse ripartiamo tutti dagli asili. E, quanto a noi, non sostiamo
ancora in sala d'aspetto. Non riduciamoci ad essere umani. Dai
comandamenti passiamo ai domandamenti, distacchiamoci fino ai
demandamenti. Cerchiamo investimenti che abbiamo per base degli
spostamenti. Esortazioni retoriche missive incendiarie. Non tornare
come prima. Urge un tentativo delirante, praticato rimescolando le
traiettorie, aggiungendo spiragli. Le storie esemplari finiscono
male. E non sono vere.
lunedì 19 marzo 2012
DE-CELEBRARE/DE-CEREBRARE
E
così, di celebrazione in decebrazione, di
organismo in cui il cervello sia funzionalmente inattivo, come se
fosse stato asportato, perché gravemente leso da processi
patologici, o per interruzione delle vie efferenti.
Ripassarmi
(addosso). Lasciar passare il presente, conservare il passato. Quale
che esso (non) possa essere al momento mai possibile del
ricordarsene.
L'unico
affronto (im)possibile, la sola fonte di differenza per saltare lo
steccato delle leggi del mercato e dell'utile è ancora il Non
servire. Il rendersi (senza arrendersi perciò) risolutamente
in-civile. Trovando parentele non molto ancora esplorate tra chi di
anni passati dalla morte si supponga ne abbia cumulati 20 e chi
ancora seguendo la ripartizione temporale da noi in voga esattamente
la metà. Tra Cage e Bene c'è - si diceva or ora – un contiguo non
andare da nessuna parte, entrambi avvolti nel gioco impossibile della
Noluntas.
Mai servi d'una struttura d'un copione d'un padrone, d'uno di quei
fini che oggi vanno per la maggiore.
Tutto
il resto è il patto scellerato del pareggio di bilancio, del
sacrificio estremo in
cieca vista della conservazione in stato prolungato di schiavitù, dell'azzeccato recente macciocapatondiano
superamento della morte per merito dell'erario. Versare i contributi
anche dall'aldilà. (contribuire, senza che venga chiesto il permesso
– non si tratta qui di non volerlo - al business commemoratorio).
Nel
campo (di concentramento) dell'arte più che altrove, qui dove si è
pieni di giudici, carichi di progetti ai quali render conto,
spettatori con i quali patteggiare la pena di salire sul palco,
giustificare le spese, pretendere che vengano perché non sanno quel
che fanno.
Il
pareggio del dare e ricevere, del trovare un senso (di marcio), del
rendersi utile al pro-regresso di questa ammalata società.
Non
accettare ancora queste pretese del degenere che segue: Io son qui
seduto e devo quanto meno divertirmi o almeno sentirmi cittadino nel
pieno del mio ruminare confuso un'appartenenza civile. Tornare a
cercare d'essere uomini piuttosto, aldilà della sostenibilità o non
sostenibilità delle risorse ancora sfruttabili.
Poi
se m'incanto più nell'osservare il neon verde dell'uscita di
sicurezza piuttosto che il centro prospettico dell'evento vuol dire
che la magia si è persa con la sparizione del buio.
Ora
tutti sappiamo quando dura, da dove si entra, da dove si esce. Ed
evidentemente sappiamo quanto costa (esserci) dove ci spingono ad
andare.
Quegli
attori di Rebibbia son bravi, sì. Ma loro hanno davvero forse tutto
il tempo che ci vuole. Non devono pagar l'affitto, non devono pagar
le tasse, non devono far la spesa né cucinare. Non possono scopare.
È in gabbia allora forse la condizione ideale del teatrante? Ben
concentrati, senza campo ma con tutta la profondità possibile.
Prendere
in appalto un'idea, farsela propria fino a conclusione lavori, alla
fine della notte. Poi cercare di peggio.
(R)ingraziamenti
ai defunti per esserci stati (mai abbastanza) al gioco del mondo.
Risarcimenti deteriori alla faccia di qualunque rispetto del loro
spirito sovversivo.
Vivisezionatevi
l'anima se ci riuscite, e non fatelo per trovar quel che vi manca.
mercoledì 7 marzo 2012
MEMORIE DI UNA TESTA GHIACCIATA
Memorie
di una testa ghiacciata, tra un sindaco da spalare e un'esondazione
linguistica da fronteggiare: l'emergenza è il venire a galla, in
superficie, del sommerso, l'emersione brusca dallo stato di
normalità, vera calamità naturale dei nostri animi. Portare le
catene a bordo, non permetterci più di sentirci liberi e svincolati.
Indossarle queste precauzioni. D'ora in poi anche in caso di sole, di
vento, di cielo stellato. Campi bianchi, conti in rosso. Auto blu.
Neve nera.
Memorie
riaffiorate rimescolate dopo un lungo disgelo, fuori stagione,
felicemente fuori tempo massimo, ora che l'agenda setting
dell'infotainment ha già virato altrove. Calamità invernale, gelo
del pensiero, pattinaggio su marciapiedi, suore in allarme, sono le
tonache che rischiano di cambiar colore. Spalare, grattare, ripulire.
Potare i rami spezzatisi. Tranciarne il corso. I più
deboli hanno ceduto al peso delle pesanti precipitazione.
Gli
impianti di risalita da un immaginario apocalittico sono al momento
inagibili. Ruspe e rimozioni forzate degli impegni, degli eventi,
degli appuntamenti. Non sentire più l'estremità di mani e
piedi. Pericoli anche a quote basse. Scivolare sui propri passi.
Rallentare. Le bufere, si sa, si abbattono principalmente sugli
abbattuti, e qui non è a grandi alberi che ci si riferisce. La
protezione dal civile ci farà riconciliare con la violenza della
natura.
mercoledì 29 febbraio 2012
IDENTIKILL
Identità. Una mancanza.
Un tentativo di rineg(ozi)azione. Sono un automorfismo o sono uguale
a nessuno? Rito individuale e collettivo del mettersi allo specchio, per cercarsi o per sparire meglio, predisponendo vanamente e secondo indicazioni e suggerimenti eterodiretti il miglior peggiore kit esistenziale, quello dentro il quale inquadrarsi, nel tentativo di riconoscersi (parte di) sé stessi, in ogni luogo,
in ogni tempo, dimostrandosi la propria assenza, l'integrità sempre
transitoria del proprio essere. Non si è mai abbastanza attenti
riguardo la faccia (o l'inter-faccia) da presentare. Mai abbastanza
pronti. Un'accozzaglia spazio-temporale, frammenti che non
coincidono, ma si sovrappongono nel non trovarsi, nel non
appartenersi.
lunedì 23 gennaio 2012
SPAZIO CEREBRALE
Nessun suono è
trascurabile nessun evento lo è l'incidente un lavoro il traffico la
tabella di marcia un'ossessione di ritorno le ripercussioni sullo
spazio cerebrale uno dietro l'altro questi motori accesi di semaforo
in semaforo clacson tubi di scappamento con annessa impossibilità di
fuga intasamento di corsie preferenziali corse a perdifiato sul posto
mattina inoltrata colazione assorbita abbraccio contingentato
pneumatici quasi a riposo meta lontana raggio di sole su scocca
lucida carrozzeria d'utilitaria qualcosa che non va ad un certo punto
del cammino invisibile polizia municipale in ampia schiera i piedi
non bastano ci fosse lei ci si bacerebbe sul collo adesso e fino
all'arrivo la fermata non si fa la svolta ad un certo punto era un
funerale importante d'auto blu e gendarmi forse proprio quello
benedetto dalla casa d'Ezra la giustizia morta d'infarto povera
patria commemorata sull'altare d'una traversa di via Trionfale non
dovrò avvertir nessuno farò in tempo senza alcun debito se ci fosse
lei adesso fianco s'incontrerebbe con fianco e guancia con guancia nessun suono è
trascurabile nessun evento lo è non era questo che avevo in mente.
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